Giorgio Candeloro, uno dei più importanti storici italiani del Novecento, di formazione gramsciana e partecipe della Resistenza, nel X e nell’XI volumi della sua monumentale “Storia dell’Italia moderna” – recentemente ristampata da Feltrinelli – insuperabile affresco dei processi economici, sociali e politici che hanno interessato il nostro Paese dal Settecento al secondo dopoguerra – colloca la Liberazione specificamente e la stagione resistenziale più in generale nel divenire storico che ha portato l’Italia alla modernità. Per Candeloro la Resistenza “e in particolare l’insurrezione di aprile, ebbe una base di massa che, se non fu maggioritaria, fu certo di gran lunga più nume rosa di quelle che un secolo prima aveva voluto o saputo raccogliere il movimento nazionale del Risorgimento. In questo senso si può ripetere che la Resistenza fu un fenomeno nuovo nella storia d’Italia e si può affermare che essa resta un elemento essenziale che ha reso possibile la fondazione della Repubblica democratica in Italia”. Dalla Resistenza nacque la Costituzione repubblicana che ebbe “un carattere progressista e democratico abbastanza spiccato. Così una Costituzione molto democratica fu sovrapposta per parecchi anni ad uno Stato che per molti aspetti, nella legislazione, nel sistema amministrativo e nella prassi di governo, era la continuazione dello Stato fascista ed anche di alcuni aspetti autoritari di quello prefascista”. Un tema quello della sostanziale continuità dello Stato nel dopoguerra e del “tradimento” dell’ansia di rinnovamento sociale espresso dalle forze vive della Resistenza riunite nel CLN su cui la politica e la storiografia hanno molto discusso e su cui è tornato recentemente Davide Conti nel suo “Gli uomini di Mussolini” postulando una vera e propria “rottura tra Stato e Resistenza”. Ma le riflessioni di Piero Calamandrei sulla Costituzione come “rivoluzione promessa” concessa in cambio di una “rivoluzione mancata” si situano nel medesimo alveo.
L’attualità del 25 aprile sta proprio in questa contraddizione ancora aperta e ancora bruciante tra il “dover essere” voluto dalla Resistenza e l’ “essere” dello Stato (e della società) nati dalla Resistenza. Non c’è dubbio che la Resistenza è il fondamento del nostro ordinamento politico-sociale che consente alla società italiana di essere una comunità di persone unite attorno ad alcuni valori fondamentali; la resistenza è la “Grundnorm” cioè la norma o principio fondamentale che fonda la Repubblica italiana. E la Costituzione è filiazione diretta della “moralità” della Resistenza per utilizzare il titolo della nota opera di Claudio Pavone.
Ebbene, se la Costituzione è il nostro principale giacimento morale e istituzionale, vera e propria religione civile, è d’obbligo chiedersi se essa, nel suo svolgimento di tutela delle libertà fondamentali, di codificazione dei diritti e doveri dei cittadini, di statuizione delle c.d. “norme programmatiche è stata attuata con coerenza. La Costituzione italiana non disciplina solo i rapporti tra i cittadini e le istituzioni e tra le istituzioni, ma contiene in sé anche l’ansia della giustizia sociale e un programma di trasformazione dinamica della società (pensiamo all’art. 3 sulla “uguaglianza sostanziale” dovuta ad una formidabile intuizione di Lelio Basso: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese).
Le norme programmatiche non sono mere enunciazioni di principio ma tutelano diritti fondamentali che rappresentano vincoli costituzionali ai pubblici poteri (in questo senso vanno le tesi di Luigi Ferrajoli, uno dei più importanti filosofi del diritto italiani, assertore di una concezione sostanziale di democrazia costituzionale). La Carta Costituzionale delinea un progetto di società e di economia in forte confliggenza con l’ipertrofica ideologia mercatista dominante. La Costituzione fin dall’art. 1 risolve la dialettica tra capitale e lavoro a favore del secondo per poi continuare con l’art. 4 sul diritto al lavoro e la promozione delle condizioni che lo rendono effettivo (in ciò fornendo una indicazione per il dispiegamento di politiche di piena occupazione), con l’art. 41 sulla funzionalizzazione dell’iniziativa privata all’“utilità sociale” e al benessere dell’intera comunità, con gli articoli concernenti i rapporti di lavoro (art. 35 e seguenti) permeati da una diretta ed esplicita finalizzazione alla tutela della libertà e della dignità del lavoratore, con l’art. 47 sulla tutela del risparmio per cui il controllo e il coordinamento del credito è sussunto nella sfera pubblica per collocare la liquidità monetaria entro le della politica economica generale e con l’art. 53 sulla progressività delle tasse ad indicare la finalizzazione dello strumento fiscale al varo di politiche redistributive.
Ha ragione Gustavo Zagrebelsky quando dice che la nostra Costituzione è una “Costituzione programmatica”, una Costituzione “contro lo status quo”, una Costituzione d’opposizione e lo spirito costituzionale è spirito resistenziale nei confronti dei poteri politici, economici e culturali dominanti.
Oggi celebrare il 25 aprile significa riconoscere nelle pieghe della società italiana quelle disparità, disuguaglianze e fratture che il progetto costituzionale nato dalla Resistenza intendeva eliminare e significa quindi – tornando alla riflessione iniziale di Giorgio Candeloro – battersi per quella discontinuità di politiche economiche e di tutela dei diritti che nel dopoguerra solo a tratti (pensiamo alla stagione riformatrice degli anni Settanta) è stata realizzata, oggi “fare Resistenza” significa assumere il contenuto emancipativo della Carta costituzionale quale nucleo del nostro impegno.
Scrisse Antonio Giuriolo nei suoi Quaderni “Noi perciò abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di prendere le armi contro questa patria presente per realizzarne una migliore nell’avvenire”. Oggi per noi le armi sono quelle della politica, dell’impegno sociale e associativo, ma l’obiettivo rimane inalterato: costruire una società più libera e più giusta secondo il programma fondamentale delineato dalla Costituzione repubblicana, figlia del 25 aprile.
Gigi Poletto
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