Orazione partecipata 25 aprile 2014
1944-2014: settant’anni ci separano da uno degli anni più difficili della storia del nostro paese. Anno di lutti, sofferenze, ma anche anno in cui iniziò a crescere il seme della rinascita per un’Italia nuova, libera, repubblicana, democratica. Il 1944 è l’anno chiave della lotta italiana per la liberazione dall’oppressione nazifascista.
Per comprendere pienamente cosa fu per la storia della Resistenza e d’Italia il 1944, è necessario ricordare alcuni avvenimenti precedenti.
Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo sfiducia Mussolini: il regime cade e il dittatore viene arrestato su ordine del re. A capo del governo il sovrano nomina il maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Egli dichiara che “la guerra continua” a fianco della Germania nazista, ma al contempo iniziano le trattative segrete per una pace separata con gli Alleati.
L’otto settembre 1943, dopo oltre tre anni di guerra, la radio dà l’annuncio dell’armistizio fra Italia e forze anglo-americane. È il tempo del “tutti a casa”, si pensa che la guerra sia finalmente finita. Non è così, purtroppo. I tedeschi reagiscono a quello che considerano un vero e proprio tradimento invadendo la penisola e annettendo al Reich le province di Bolzano, Trento, Belluno, Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume. L’esercito italiano è lasciato senza ordini precisi. I reparti che si rifiutano di consegnare le armi vengono massacrati, come a Cefalonia e Corfù. Oltre 600.000 militari italiani vengono catturati e internati in Germania. Sarà anch’essa una forma di Resistenza. Il re e lo Stato Maggiore fuggono precipitosamente a Brindisi e danno vita al Regno del Sud; Mussolini, liberato dai tedeschi, fonda nell’Italia del Nord la Repubblica Sociale italiana, Stato fantoccio controllato dai tedeschi.
Al contempo in tutta l’Italia occupata si formano i primi nuclei partigiani. Guidati dai Comitati clandestini, donne e uomini di ogni età, in gran parte giovani, talvolta giovanissimi, si organizzano per resistere all’occupante e ai loro fiancheggiatori fascisti. È una lotta dura, che porta privazioni e dolori di ogni tipo. Ma nonostante i lutti, la Resistenza si organizza e cresce di giorno in giorno. Così si giunge all’anno chiave, il 1944.
Le partigiane, i partigiani, i patrioti, le staffette corrono rischi altissimi. Il nemico è feroce e senza pietà. Quando un partigiano viene catturato, spesso, prima di essere condotto alla morte, viene barbaramente torturato. Eppure, a riascoltare la voce di quegli uomini e quelle donne, consapevoli di avere ancora poche ore, se non pochi minuti di vita, si rimane colpiti dalla fermezza del loro spirito.
Giordano Cavestro, nome di battaglia “Mirko”, ha diciott’anni quando viene catturato dai nazifascisti. Nel 1940, a quindici anni, aveva dato vita, di sua iniziativa, ad un bollettino antifascista attorno al quale si erano mobilitati numerosi militanti. Dopo l’8 settembre 1943 lo stesso nucleo era diventato centro organizzativo e propulsore delle prime attività partigiane nella zona di Parma. Processato, viene fucilato il 4 maggio 1944 a Parma. Ecco le sue ultime parole:
Cari compagni, ora tocca a noi.
Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile.
Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care.
La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio.
Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà.
Sono parole che rivelano, a dispetto della giovanissima età, una maturità e un senso di responsabilità altissimi. Nella Resistenza entrano persone diverse per formazione, orientamento politico, e scelte. Tutti, però, convinti della necessità di lottare uniti contro l’oppressore.
Giancarlo Peucher Passavalli ha vent’anni. Subito dopo l’8 settembre 1943 diventa l’organizzatore ed il capo dei gruppi partigiani che si vanno formando nella zona di Erba-Pontelambro, in provincia di Como. Catturato il 12 novembre 1943 a Erba, da militi delle locali Brigate Nere, viene processato il 21 dicembre 1943 dal Tribunale Speciale Militare di Erba e fucilato lo stesso 21 dicembre 1943. Medaglia d’Oro al Valor Militare. Quelle che seguono sono le sue ultime parole:
Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato: Spero che il mio esempio serva ai miei
fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto… Accetto con rassegnazione il suo volere.
Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia mamma che santamente mi educò e mi protesse per i vent’anni della mia vita.
L’amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia.
A te Papà l’imperituro grazie per ciò che sempre mi permettesti di fare e mi concedesti. Gino e Gianni siano degni continuatori delle gesta eroiche della nostra famiglia e non si sgomentino di fronte alla mia perdita. I martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la Sua volontà. Baci a tutti.
Giancarlo
Nel movimento partigiano spiccano, per numero e partecipazione, le donne. Solo poche cifre posso aiutarci a comprendere il valore del loro contributo, e il prezzo da esse pagato:
- 35.000 partigiane, staffette, sappiste, gappiste;
- 512 comandanti e commissarie di guerra;
- 4.633 donne arrestate, torturate, condannate dai tribunali fascisti;
- 2.750 deportate in Germania;
- 1.750 ferite;
- 70.000 organizzate nei gruppi di difesa.
Tra esse c’è pure Irma Marchiani, nome di battaglia “Anty”, nubile, di professione ricamatrice, modista e pittrice. Nata il 6 febbraio 1911 a Firenze, opera sull’appennino modenese, dapprima come staffetta e informatrice, poi come vice comandante del Battaglione “Matteotti”, Brigata “Roveda”, Divisione “Modena”. Catturata e processata il 26 novembre 1944 fu fucilata lo stesso giorno. Le fu riconosciuta la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. Ecco le sue ultime parole:
Prigione di Pavullo 26.11.1944
Mia adorata Pally,
sono gli ultimi istanti della mia vita. Pally adorata, ti dico a te saluta e bacia tutti quelli che mi ricorderanno. Credimi, non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome. Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora sono qui… fra poco non sarò più; muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse. Vorrei essere sepolta qui a Sertola.
Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto
Giovani, donne, operai, studenti, intellettuali ma anche padri di famiglia fanno parte, in Italia e in tutta l’Europa occupata, del movimento resistenziale. Padre di famiglia è Costantino Ebat, tenente colonnello d’Artiglieria già decorato di medaglia d’argento al valor Militare durante la guerra. Entra nella Resistenza nel novembre 1943. Arrestato in seguito a delazione nel marzo 1944, verrà fucilato il 3 giugno successivo. In una lettera al figlioletto, così scrive:
Mario,
piccolo mio Ninì, come vedi il tuo papalino se ne va senza poterti parlare come vorrebbe, ma ti scrive ancora una volta, una letterina solo per te, come sempre tu mi chiedevi. Il mio sogno era quello di vederti crescere, di istruirti a tuo modo; forgiarti alle tue idee e ai tuoi sentimenti. Ma tutto è perduto; ti è rimasto il mio esempio e tu, ne sono certo, saprai calcare questa orma di onestà e lealtà. Saprai esserne degno non è vero? Questo devi prometterlo sulla mia tomba, come io lo promisi col sacro giuramento sulla tomba del padre mio. Tu dovrai portare il mio nome e onorarlo perché è sacro per te. Ama tanto la tua cara Nonnina; tu devi prendere completamente il mio posto perché la sua pena venga alleviata e perché non senta tanto il vuoto che si è formato intorno a lei. Ama tanto la tua cara mammina, tu non potrai mai sapere quanti immensi sacrifici ha sopportato per te, quanti dolori e umiliazioni ha patito per farti un ometto quale tu sei. È stata tanto sfortunata nella sua vita, quanto è stata buona e affettuosa. E tu devi ricompensare con affetto e buone azioni.
Ma soprattutto ama e abbi fede nella Patria. Ad essa anteponi tutti gli affetti e se ti chiede la vita offrigliela cantando. Sentirai allora, come io lo sento adesso, quanto è bello morire per lei e che la morte ha un effettivo valore. Sappi e non dimenticarlo mai che il tuo papalino se ne va sorridendo, fiducioso e senza un attimo solo di debolezza, da uomo forte di nervi e di animo, sicuro di aver fatto fino all’ultimo istante il suo dovere verso la Patria amata.
Sii uomo forte e fiero, buono e giusto. Ti bacia tanto teneramente il tuo papalino
Costanzo
Anche nel territorio vicentino il 1944 è anno fondamentale. Come in tutto il nord Italia, anche nella nostra provincia le formazioni partigiane si organizzano e si strutturano: nelle valli prealpine, sull’altopiano dei Sette Comuni, sulle nostre colline, in pianura e in città. Moltissimi sono i giovani che, chiamati ad arruolarsi con i bandi repubblichini, preferiscono darsi alla macchia. Ma Resistenza non è solo quella armata, è anche quella civile e operaia: il marzo 1944 è il mese degli scioperi generali. In tutto il nord Italia, gli operai si uniscono per protestare. Chiedono l’aumento dei salari, dei generi di prima necessità, ma anche che le loro fabbriche non producano più per la guerra; si organizzano, infine, per impedire che i macchinari e le maestranze siano trasferiti in Germania. Anche nelle nostre zone fabbriche come la “Marzotto” di Valdagno o la “Pellizzari” di Arzignano si fermano. Ad Arzignano quattro operai pagheranno con la vita. Condotti al nostro Castello della Villa, saranno trucidati dai nazifascisti la notte del 30 marzo 1944.
Nonostante i lutti e le sofferenze, i giovani capiscono che è necessario lottare, e pur consapevoli del rischio che corrono non si tirano indietro. Il giovane Giuseppe Corà, classe 1925, prima di entrare nelle formazioni partigiane – combatterà nella brigata “Stella” – scrive una lettera al reverendo arciprete di Sandrigo. Corà cadrà in combattimento a San Vito di Leguzzano l’8 settembre 1944.
Reverendo Arciprete,
partendo per il posto di combattimento desidero porgerle i miei più sentiti saluti. Le condizioni di vita qui sono per me diventate insostenibili, e parto quindi per luoghi nei quali desideravo trovarmi già da tempo. Parto sereno e contento: non ho pensieri e rimpianti. A vent’anni per la Patria si dà anche la vita con entusiasmo e senza rammarico. Non so quando e se ritornerò; non faccio il tragico, ma ho calcolato tutte le eventualità a sangue freddo. Mi raccomando molto alle sue preghiere. Non ho altro da dirle: solo passandomi in questo momento per la mente il ricordo degli anni scorsi, desidero ringraziarla ancora una volta per tutto quello che ha fatto per me. Arrivederci, Rev. e si ricordi qualche volta del suo
Beppino Corà
La brigata “Stella”, delle formazioni Garemi, fu un’unità di primaria importanza nel nostro territorio. Fu essa che portò a termine, la notte tra il 23 e il 24 luglio 1944, l’assalto al Sottosegretariato alla marina della Repubblica Sociale Italiana. 47 partigiani disarmano senza colpo ferire oltre 200 marinai. Ingente il bottino fra armi, materiali vari e denaro, presto consegnato al CLN di Padova. Una delle menti dell’azione, giovane comandante della “Stella”, allora battaglione, è Luigi Pierobon “Dante”, classe 1922, studente di lettere. Catturato a Padova in seguito a delazione, viene fucilato il 17 agosto 1944. Queste le sue ultime parole:
A mamma e papà,
Nell’ultimo momento un bacio caro, tanto caro. Ho appena fatto la SS. Comunione. Muoio tranquillo. Il Signore mi accolga fra i suoi in cielo. È l’unico augurio e più bello che mi faccio. Pregate per me. Saluto tutti i fratelli, Paolo, Giorgio, Fernanda, Giovanni, Alberto, Giuliana, Sandro, lo zio Giovanni, tutti gli zii e le zie.
Un bacio a tutti. Il Padre qui presente, che mi assiste, vi dirà i miei ultimi desideri.
Un bacio caro.
Luigi Pierobon
Tra l’estate e l’autunno numerose sono le azioni partigiane portate a termine con successo, ma altrettanto numerose sono le rappresaglie nazifasciste e le azioni contro i “ribelli”, come vengono chiamati patrioti e partigiani. Numerosi anche i rastrellamenti, come quello di Piana di Valdagno del settembre 1944. In esso, fra partigiani e civili, perdono la vita 89 persone. 11 sono montecchiani.
I mesi si susseguono, gli avvenimenti, dopo la relativa stasi della stagione invernale, incalzano. Con i primi mesi del 1945 la lotta all’oppressione nazifascista si riaccende, carica di speranza. Si arriva agli ultimi giorni, quelli dell’aprile 1945, i giorni della Liberazione. Come fu vissuta la Liberazione qui a Montecchio? Ritorniamo ad allora attraverso le cronache degli insegnanti, attualmente conservate presso l’archivio di Stato di Vicenza.
- 23 aprile 1945: “Dati gli innumerevoli pericoli della guerra solo un alunno si è presentato a scuola”, ins. Vincenzo Guggino.
- 24 aprile 1945: “La scuola viene occupata dalle truppe tedesche in ritirata. Le lezioni vengono giocoforza sospese”, ins. Fontana Riva Lucia.
- 25 aprile 1945: “Ormai non è più possibile viaggiare nemmeno in bicicletta sia a causa dei mitragliamenti ed anche perché ora c’è il pericolo di venire privati del mezzo di trasporto [da parte dei soldati tedeschi in fuga]”, ins. Di SS.Trinità Passerelli Giorgina.
“Poco lontano dalla scuola è avvenuto uno scontro tra soldati tedeschi e patrioti. Un ferito tedesco è stato condotto nella mia aula dove gli vennero prestate le prime cure. Arrivarono poi a prelevarlo parecchi suoi compagni armati fino ai denti. Il fatto ha destato molta impressione negli scolari”, ins. di SS. Trinità Arpalice Gaiarsa.
“Si attende di giorno in giorno, per non dire di ora in ora l’arrivo degli anglo-americani, i patrioti sono pronti ad occupare paesi e città per impedire una disperata resistenza dei germanici ed evitare distruzione e stragi”, ins. Valentina Ballardin. - 26 aprile 1945: “Da tutte le vie sono sbucati i patrioti che hanno occupato la nostra frazione [SS. Trinità]. La scuola è stata circondata. Ho sospeso le lezioni e mandati a casa i piccoli di prima classe”, ins. Arpalice Gaiarsa.
“Da ieri sera il tram viaggia esclusivamente per i tedeschi. Le vie sono pericolose. Le scuole sono chiuse”, ins. di SS. Trinità Passerelli Giorgina.
“Già al mattino recandomi a scuola, abbiamo notato un’atmosfera insolita, inquieta, per l’avvicinarsi della guerra. Mentre facevamo l’ultima ora di lezione nella via raffiche di mitragliatrice che sempre più si avvicinavano. Abbiamo ritenuto opportuno sospendere subito le lezioni e rimandare gli alunni in seno alle loro famiglie, accompagnando con noi quelli che abitavano dalla nostra parte”, ins. Lavinia Rizzoli, la cui classe era stata trasferita dai Giuseppini al dopolavoro. - 27 aprile 1945: “Il giorno 27 Aprile segna un giorno triste per le nostre scuole. Verso le 11.30 i tedeschi hanno collocato due grosse mine nell’edificio scolastico facendole esplodere. Il magnifico edificio è stato gravemente danneggiato. L’atto di barbarie ha suscitato viva indignazione in tutto il popolo”, ins. Vincenzo Guggino.
- 28 aprile 1945: “Giorno della liberazione. Il paese è stato liberato dai partigiani. Verso le ore 11 sono arrivati i primi soldati americani accolti con giubilo dal popolo. Gli alunni, benché non invitati, sono corsi spontaneamente ad incontrare i liberatori”, ins. Vincenzo Guggino.
Dopo le vicende di queste note tratte dalle cronache di maestre e maestri riprenderà con grande fatica ma con slancio ammirevole la nuova vita della scuola di Montecchio. Come la scuola, tutta la comunità riprenderà in quei giorni la vita di pace. Lo stesso 28 aprile 1945, la nuova Amministrazione comunale, presieduta dall’avv. Giuliari emana un comunicato pubblico. Ecco cosa diceva:
Comune di Montecchio Maggiore
Ringraziando Iddio, con l’animo e col cuore traboccanti di eterna gratitudine pei Martiri e pegli Eroi che impreziosiscono l’aspro e duro calvario di redenzione della Patria nostra – già troppo a lungo avvilita ed infamata dalla scelleratezza di figli iniqui e perversi – , col pensiero riconoscente a tutti coloro che l’arme impugnarono contro un secolare, barbaro nemico o che assaporarono l’amarezza delle tristi galere nazifasciste e a tutti coloro che intristiscono in lontani campi di prigionia, salutiamo il giorno della libertà, a tanto oneroso prezzo riconquistata.
Sia monito e stimolo di Bene per ogni vero Italiano sì greve fardello di lacrime e di dolori onde, con spirito puro e onesto, offrire domani e sempre in piena concordia il nostro braccio e la nostra mente alla ricostruzione morale e materiale dell’Italia.
Montecchio Maggiore, lì 28 Aprile 1945
L’Amministrazione Comunale
Non sarebbe stato un cammino facile. Il 10 maggio 1945, due giorni dopo la firma della resa incondizionata della Germania, a Montecchio avveniva una grave sciagura: l’esplosione di un deposito di esplosivi sito all’interno dell’Asilo infantile, l’attuale asilo “Dolcetta”. Venti i partigiani rimasti uccisi. L’amministrazione comunale di allora affisse un comunicato pubblico. Eccone il testo:
UNA GRAVE SCIAGURA HA COLPITO IL NOSTRO PAESE
Una tremenda esplosione, dovuta a caso fortuito non bene
determinato, esclusa quindi per concorde ammissione di persone
responsabili ed inquirenti, ogni ipotesi di sabotaggio, ha distrutto
lo stabile dell’Asilo Infantile e provocato numerose vittime tra i
VALOROSI PATRIOTI, lì accasermati per la tutela dell’ordine pubblico.
IL COMITATO DI LIBERAZIONE E L’AMMINISTRAZIONE CIVICA
di MONTECCHIO MAGGIORE
anche a nome di tutta la cittadinanza si associano al
gravissimo lutto del BATTAGLIONE “ISMENE” e delle FAMIGLIE
così duramente colpite, e mandano alle vittime il
memore saluto.Montecchio Maggiore, 10 Maggio 1945.
I funerali avranno luogo SABATO 12 corr. alle ore 10 a spese del Comune
Ad essi sono invitati tutti i cittadini.
Fu un doloroso colpo alla pace restituita, ma col tempo anche Montecchio, lentamente, tornò alla vita di pace. A 69 anni da quei giorni, il sacrificio dei tanti che hanno dato la vita per un’Italia libera, unita, democratica, repubblicana, rimane a esempio, a memoria perenne. Perché in questi tempi difficili, di crisi morale oltre che economica e sociale, le tenebre sconfitte non ritornino. Serbiamo sempre dentro di noi le parole presenti sul nostro monumento alla Resistenza, opera di un grande poeta:
NON RISPUNTATE NON TRAVESTITEVI
TENEBRE CHE ABBIAMO SCONFITTO
PER LA PORTA SPALANCATA
COL SACRIFICIO E CON LA LOTTA
PASSA SOLTANTO PIÙ LIBERTÀ
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