Nato a Vicenza il 12 settembre 1924, fucilato al poligono di tiro della Città, lungo la Strada Marosticana il 22 aprile 1944, quando non aveva ancora compiuto vent’anni.
Abitava probabilmente in via Borgo Santa Lucia ove al n° 21 sono collocati un busto e una lapide a ricordo del suo martirio. Di mestiere faceva il panettiere.
A 19 anni fu chiamato alle armi e si presentò regolarmente nel luglio 1943. Poco più di un mese dopo vi fu l’armistizio dell’8 settembre. Ritornò quindi a Vicenza e si trasferì a Monteviale con la famiglia ivi sfollata, riprendendo ad esercitare il suo mestiere. Ai bandi per l’arruolamento nell’esercito della R.S.I. non si presentò, ma rimase sulle colline ove si nascondevano altri giovani come lui renitenti. Sicuramente venne in contatto anche con i partigiani di Vicenza, in particolare con Sergio Mattolin “Aviatore” che faceva parte del gruppo dei sei partigiani vicentini organizzati da Livio Bottazzi, il quale nell’ottobre 1943 era salito prima a Castelvecchio e poi a Bosco di Marana e che, ai primi di gennaio 1944, si era aggregato al gruppo di Malga Campetto. Dopo la vittoriosa battaglia di metà febbraio combattuta da quel gruppo contro i nazifascisti e il conseguente sganciamento, i vicentini si radunarono nuovamente a Bosco di Marana. Con l'”Aviatore” questa volta salirono in montagna anche Silvio Apolloni e Lino Albanello. Secondo quest’ultimo i tre salirono in montagna il 18 febbraio 1944.
Apolloni prese il nome di battaglia “Leo” e Albanello divenne “Cirillo-Patata“.
Nel successivo mese di marzo “Leo” entrò a far parte della pattuglia comandata da “Pino” (Clemente Lampioni) e con essa partecipò alla missione che aveva come scopo verificare la possibilità di minare la ferrovia Verona-Brennero nella Valle d’Adige, raggiunta dopo aver attraversato tutta la Lessinia veronese e ritornando poi tutti incolumi ma stremati alla base di Durlo-Marana. In alcune sue testimonianze “Patata” afferma che “Leo” divenne capo pattuglia e ricorda che egli spesso si recava in pianura a procurare armi e ad arruolare combattenti. Una volta lo vide ritornare alla base con un cappello d’alpino e alla testa di un nuovo gruppo di giovani, già tutti armati.
Fu durante uno di questi spostamenti nel mese di aprile che egli fu sorpreso ed arrestato dalla polizia fascista di Monte di Malo. Aveva con se una pistola, che sembra nemmeno funzionasse.
Fu trascinato a Vicenza e rinchiuso nel carcere di San Biagio. I fascisti decisero subito che egli doveva essere ucciso per costituire un monito ed un esempio per i numerosi vicentini renitenti alla leva. Così la sua fucilazione, avvenuta il 22 aprile 1944, venne preceduta da una macabra messinscena: il giovane partigiano, preceduto dal rullo dei tamburi, fu prelevato dal carcere e gli fu fatto percorrere le vie della città fino al poligono di tiro, sulla strada Marosticana. Invano egli chiedeva ai suoi aguzzini di poter vedere la madre prima di essere fucilato. Ad una suora che lo accompagnava sulla via della morte chiedeva di dare per suo conto l’ultimo bacio alla mamma, ancora ignara del suo tragico destino.
I fascisti, per “regolarizzare” questo delitto, il giorno dopo, 23 aprile 1944, riunirono il Tribunale Militare Regionale di Guerra Fascista in sessione straordinaria a Vicenza che emise la sentenza di morte mediante fucilazione al petto, sentenza che reca il n. 1891 del Reg. Proc. 1944 n. 68.
L’Apolloni era imputato:
- di mancanza alla chiamata alle armi in violazione dell’ad. 2 Decreto Duce 18.2.1944;
- di detenzione di rivoltella senza la prescritta licenza, in violazione dell’art. 699 C.P..
Trascriviamo testualmente la parte finale ed il dispositivo della sentenza emessa dai giudici fascisti: Seracchioli, Cavalcaselle, Ciaffi, Benettini, Severi.
«Omissis… Perciò il reato di renitenza alla chiamata come rubricato sub; A) appare perfetto: sia nell’elemento materiale, sia nell’elemento soggettivo; volontarietà e coscienza del fatto stesso. Ne consegue l’applicazione della pena capitale prevista dagli artt. 2 e 6. Data la peculiarità del fatto, la figura maliziosa del colpevole, e tenuto conto in particolare delle contingenze nazionali non ravvisa il Collegio l’opportunità di concedere all’Apolloni alcuna diminuente di legge.
La seconda imputazione non è controversa (detenzione armi) ma la pena per essa rimane ascritta da quella capitale.
P.Q.M., dichiara Apolloni Silvio colpevole e lo condanna alla pena di morte mediante fucilazione al petto. Ordina la confisca dell’arma sequestrata e cartucce. La sentenza è diventata esecutiva all’atto della pronuncia 20.4.1944».
Al suo nome il 17 maggio 1944, a Malga Campodavanti di Sotto, verrà intitolato un battaglione: il Battaglione Apolloni della XXX° Brigata Garibaldi “A.Garemi”.
(a cura di Giorgio Fin)