Il 17 agosto 2015 si è tenuta a Padova, all’interno della caserma oggi a lui dedicata, la cerimonia di commemorazione di Luigi Pierobon “Dante” e degli altri partigiani pretestuosamente fucilati il 17 agosto 1944.
il testo dell’Orazione ufficiale, tenuta da Mario Faggion – presidente A.N.P.I. della provincia di Vicenza.
Esprimo un vivo ringraziamento per l’invito, particolarmente gradito, di tenere il discorso celebrativo in memoria di Luigi Pierobon “Dante – Il Professore” (così è noto nel Vicentino) e dei sei compagni partigiani, fucilati qui nella caserma di Chiesanuova, 71 anni fa, nel tardo pomeriggio del 17 agosto 1944; gradito
- per il luogo (la Caserma è infatti intitolata a Luigi Pierobon, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria, comandante partigiano sulle montagne delle Valli dell’Agno, del Chiampo e del Veronese; un grande onore per la Resistenza; un esempio significativo di amore per la Patria e per la democrazia per tutti i cittadini e per le nuove leve di giovani impegnati nella difesa della nostra società);
- e perché la data e il posto del sacrificio di Luigi Pierobon e degli altri sei partigiani caduti con lui per mano e per volontà nazifascista consentono di fare memoria storica delle loro personalità, dei loro ideali, del loro impegno nella lotta contro l’occupazione straniera e contro la dittatura fascista durante la Guerra di Liberazione dall’8 settembre 1943 fino alla perdita della vita;
- la giornata del 17 agosto, poi, richiama alla memoria ed è strettamente legata, nelle cause e nella volontà omicida degli oppressori nazifascisti, alla drammatica impiccagione in via Santa Lucia di 3 martiri della libertà (il dott. Flavio Busonera; il comandante partigiano “Pino” – Clemente Lampioni – ed Ettore Calderoni, catturato sui Colli Euganei) perpetrata nel primo pomeriggio del 17 agosto 1944; anche di loro è doveroso fare memoria e cogliere il valore del loro sacrificio.
C’è un forte legame fra Padova e Vicenza nella storia della Resistenza: i primi comandanti, inviati dalla Delegazione Triveneta Garibaldi sui nostri monti, sono padovani, di Cadoneghe; “Giani” e “Germano” – i cugini Raimondo e Romeo Zanella – sono alla testa del Gruppo di Malga Campetto nel gennaio 1944, nucleo originario della Brigata Stella e delle Formazioni garibaldine Garemi. Padovano è “Pino” – Clemente Lampioni -, che diventerà commissario politico della “Stella” e padovano è “Dante” – Luigi Pierobon -, giunto sui monti del Vicentino (di Recoaro, della Valle dell’Agno e della Valle del Chiampo) nel febbraio 1944. Pierobon, universitario laureando in lettere, che ha frequentato la scuola allievi ufficiali sul Carso, a Villa Opicina – Gradisca nel 1943 e in Toscana, sente la necessità di dare il suo contributo alla lotta per la liberazione dell’Italia dai nazifascisti, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, e sceglie uno dei due luoghi nel Veneto, Malga Campetto di Recoaro (l’altro è la Casera della Spasema a Lentiai, nel Bellunese) dove si è sviluppata la lotta armata contro tedeschi e fascisti.
Nel mese di marzo ’44 “Dante – Il Professore” guida una delle dieci pattuglie di “Malga Campetto” in movimento; un’altra è diretta da “Pino”. Entrambi si distinguono in alcune azioni partigiane importanti ed incisive. Cresce il loro prestigio sugli uomini, per l’esempio, l’intelligenza, le qualità umane, la capacità di direzione. Quando alla fine di marzo ’44, “Giani”, “Germano”, “Oreste” e “Franco” scendono in pianura e sono destinati dal comando regionale a nuovi compiti, “Pino” e “Dante” sono chiamati a dirigere e ad espandere la lotta sulle nostre montagne del Vicentino e nelle nostre valli.
“Dante”, di estrazione cattolica, ha allora 22 anni; mite e gentile, ma serio ed equilibrato nel comando, diventa nel maggio il comandante del Battaglione Stella (poi Brigata e Divisione).
“Pino”, di formazione più complessa e tormentata, proviene da un’altra esperienza (di ribellione anarcoide alla società e alle sue leggi per difficoltà familiari) e nella lotta per la libertà e la giustizia esprime la sua volontà di riscatto umano e sociale; ha 40 anni; ha un grande ascendente sugli uomini per la decisione, l’accortezza, la moralità nella Resistenza; egli è il commissario politico del battaglione.
Benetti Pietro “Pompeo” in una relazione che abbiamo pubblicato, afferma che “Dante” nelle azioni era preciso e coraggioso; «fra lui e “Pino” c’era un accordo totale, nella tattica da applicare e sugli obiettivi da conseguire nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi. Fra di loro c’era grande onestà…». E’ dalla loro intesa e collaborazione nel comando che il battaglione “Stella” cresce negli organici, nella quantità delle azioni di attacco e di sabotaggio e nelle zone d’influenza (dalle montagne di Recoaro all’ambiente di bassa montagna e di collina di Selva di Trissino e all’espansione delle pattuglie e delle azioni in pianura, nel Basso Vicentino, Veronese e Padovano, fino a Montagnana e Castelbaldo).
La relazione operativa della formazione garibaldina “Stella” riporta nei mesi di aprile, maggio, giugno e luglio 1944 ben 70 azioni militari partigiane contro i nazifascisti; significa che “Dante” e “Pino” hanno esercitato con efficacia la loro capacità di comando. L’azione più clamorosa, diretta da “Dante”, riguarda il disarmo del Sottosegretariato di Stato per la Marina della R.S.I. posto a Montecchio Maggiore: con 47 partigiani armati e 7 disarmati nella notte tra il 23 e 24 luglio riesce a penetrare nel campo trincerato e disarma la guarnigione della marina repubblichina; 224 uomini disarmati; 206 fucili recuperati, 18 mitra, 22 casse di munizioni, tre casse di bombe a mano, 27 pistole e una somma, fra titoli e contanti, di 18 milioni di lire, consegnata poi al comando regionale.
Per merito di “Pino”, di “Dante” e dei loro collaboratori il battaglione “Stella” viene elevato al rango di brigata partigiana l’8 agosto 1944, suddivisa in cinque battaglioni: “Romeo”, “Brill”, “Cocco”, “Tordo” e “battaglione di pianura”. Validi comandanti, dunque, e grandi costruttori della Resistenza vicentina. A loro sono dedicate due brigate garibaldine: la “Luigi Pierobon” in Lessinia e la “Pino” sull’Altopiano di Asiago.
In agosto si decide però il loro destino. Ma prima di entrare nel merito è opportuno tratteggiare la figura di un’altra forte personalità, che ha subito la stessa sorte: si tratta del dottor Flavio Busonera. Nasce ad Oristano nel 1894. Fin da giovane, accanto allo studio, è attratto dai problemi sociali e dedica tutta la sua vita alla causa del mondo del lavoro e alla soluzione dei problemi dei lavoratori. Inizia la professione di medico in un piccolo comune della Sardegna ma è ostacolato per le sue idee dal fascismo. Si trasferisce così nel Veneto, sperando di trovarvi tranquillità e possibilità di vita. Esercita la professione prima in Val Cellina e poi nel comune di Cavarzere. Sente come una vera missione il proprio lavoro, a beneficio di una popolazione tanto povera che a stento può pagargli le prestazioni e le medicine; anzi, spesso è lui che fornisce gratuitamente a chi non può pagare i medicinali. Dopo l’armistizio, si mette in contatto con i primi nuclei di Resistenza padovana (l’ing. Otello Pighin), soccorre i prigionieri alleati sfuggiti ai tedeschi, li cura e li avvia agli imbarchi di fortuna ̧poi organizza squadre di partigiani e diventa primo commissario politico della “Brigata Venezia”. Viene arrestato il 27 giugno 1944. Tradotto in prigione prima a Rovigo e poi a Padova, alla vigilia dell’esecuzione si trova in carcere, in attesa del processo. E’ Medaglia d’Argento al V.M. alla memoria.
E’ noto che l’impiccagione di Flavio Busonera, Ettore Calderoni e Clemente Lampioni in via S.Lucia, in centro, e la fucilazione nella Caserma di Chiesanuova di Luigi Pierobon, Primo Barbiero, Pasquale Muolo, Cataldo Presicci, Antonio Franzolin, Ferruccio Spigolon e Saturno Bandini sono annunciate pubblicamente con manifesti come rappresaglia per l’uccisione il 16 agosto del col. fascista Bartolomeo Fronteddu, attribuita al mondo della Resistenza.
In verità non è stato così. La morte del Fronteddu fu dovuta a motivi meno “patriottici” e più venali: fu ucciso da alcuni sicari pagati dal sottufficiale tedesco della Werhmacht Martin, invaghito di una donna, sua connazionale, amante del colonnello. Ed è provato storicamente che, alcune ore prima dell’esecuzione dei dieci “martiri”, il prefetto Menna era stato avvertito che il Martin e i suoi complici erano stati arrestati.
Ma la “macchina” dell’odio e della vendetta era stata avviata e non fu fermata perché i Menna, i Vivarelli, i fratelli Allegro, massimi esponenti del fascismo repubblichino di Padova, volevano dare una lezione alla popolazione padovana tutta, ai giovani universitari e a tutti gli altri, a quanti avevano abbracciato la causa della lotta per la libertà e la giustizia, volevano spargere il terrore per indebolire la Resistenza. Ma la strage, decisa e perpetrata dai nazifascisti (come tutte le stragi, i rastrellamenti, le rappresaglie, le deportazioni), non hanno arrestato il vasto movimento popolare e patriottico del Veneto e dell’Italia, culminato con l’insurrezione nazionale del 25 Aprile 1945 e la Liberazione e il riscatto del nostro Paese e la conquista della pace, della libertà, della democrazia, della Repubblica e della Costituzione.
I sette fucilati in questa Caserma e i tre impiccati in via S. Lucia, “dieci cavalieri dell’ideale” li ha definiti Egidio Meneghetti nella prima rievocazione del 17 agosto 1945, sono caduti per tutti noi e meritano il ricordo, la memoria, la gratitudine e l’onore.
E proprio per questo mi permetto di chiedere sommessamente alle autorità preposte un loro fattivo intervento: nella lapide commemorativa sono riportati i nomi dei sette partigiani fucilati e, sotto, quelli dei tre sicari del Fronteddu. Va fatta chiarezza; va operata una netta distinzione; la lapide deve essere modificata o integrata, proprio per il rispetto, l’affetto e l’onore che dobbiamo a chi ha dato la vita per la nostra libertà.
So che il problema è stato sollevato ed è presente alle autorità; la mia è una civile sollecitazione, nel 71° anniversario dell’uccisione dei 10 “martiri” della Resistenza e nel 70° anniversario della Liberazione.
La Liberazione, con la volontà di ricostruzione morale e materiale del nostro Paese, ha ricostituito l’unità della Patria e ha portato alla scelta della Repubblica e all’adozione della Costituzione.
L’esempio e gli ideali dei combattenti della Resistenza sono incardinati nella Costituzione della Repubblica e nei suoi principi fondamentali, che dobbiamo preservare ed attuare; essi devono ispirare il nostro agire quotidiano e pure il comportamento di tutti gli esponenti politici in Parlamento, che stanno confrontandosi per alcune modifiche della Costituzione. Sono senza dubbio opportune, tuttavia devono assolutamente essere tutelati gli equilibri fra i tre poteri dello Stato, le prerogative degli Organi di controllo e di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale) e la sostanza della Repubblica parlamentare del nostro sistema democratico.
E dobbiamo con maggiore coraggio esprimere il nostro impegno per la libertà, la democrazia, la pace, la giustizia, la solidarietà, l’accoglienza, l’umanità verso chi è nel bisogno, italiano o straniero che sia, ed è in pericolo di vita, come recita l’art. 10 della Costituzione sul diritto di asilo.
E’ il messaggio che giunge da Luigi Pierobon “Dante – Il Professore”, dal dott. Flavio Busonera, da Clemente Lampioni “Pino”, comandanti della Resistenza e costruttori della nostra democrazia, uniti ai loro compagni caduti il 17 agosto 1944, vittime della ferocia nazifascista.
Dobbiamo farlo nostro e agire con coerenza.W l’Italia democratica!
W la Costituzione della Repubblica!
Mario Faggion
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