FESTA DELLA LIBERAZIONE E DELLA LIBERTA’

Credo che il modo migliore per ricordare la Resistenza consista nel leggere le ultime parole di coloro che si erano opposti ai regimi liberticidi, che non furono solo il nazismo e il fascismo, ma anche tutti i paesi collaborazionisti in Europa, dalla Francia di Vichy alla Norvegia di Quisling all’Ungheria. Costretti a stare nelle vostre case per uno scopo nobile, quello di combattere il coronavirus e bloccare la diffusione del contagio, consapevoli che dovete assolutamente limitare la vostra libertà (di circolazione) per non causare danni agli altri, già godete di tutto il tempo necessario per leggere, per meditare, per imparare davvero che cosa volevano e che cosa perseguirono i partecipanti alla Resistenza. In tutta l’Europa, che Hitler andò ad un passo dal conquistare, i resistenti si posero come compito essenziale quello di riconquistare la libertà. Anzitutto e soprattutto la libertà, personale e politica, come valore e strumento indispensabile per costruire poi società e sistemi politici diversi e migliori di quelli che si erano fatti travolgere dal nazifascismo, alcuni servilmente collaborando.
Questa è la lezione che emerge con straordinaria nettezza, non inquinata da interpretazioni faziose, dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza in Italia e in Europa. Sono due volumi pubblicati da Einaudi che testimoniano quanto gli uomini e le donne della Resistenza fossero consapevoli dell’eredità che desideravano lasciare. Praticamente tutte quelle lettere esprimono, in maniera diversa, a seconda della sensibilità dei singoli, quanto fossero stati significativi i rapporti familiari, amicali, sociali, politici per intraprendere attività di opposizione nella consapevolezza di rischiare la vita, nella disponibilità a perderla: dare la propria vita per salvare altri, per dare ad altri la possibilità di una vita vissuta in libertà. Non c’è in quelle lettere nessun mal posto nazionalismo, nessun sentimento di superiorità della propria appartenenza nazionale. Però, appare chiarissimo l’amor di patria, di una patria che, riconquistata la libertà, saprà garantirla a tutti i suoi cittadini.
Che siano le lettere degli italiani o dei polacchi, dei francesi o degli ungheresi (che, alla luce della grave erosione della democrazia ad opera di Orbán, dei suoi sostenitori e dei suoi elettori, cito esplicitamente), tutte esprimono sentimenti simili e speranze condivise. Nella lotta armata, prima, nel dolore, poi e, infine, nella morte imminente, in molte di quelle lettere c’è anche la consapevolezza che non solo la pace, ma anche la stessa libertà dovranno essere conquistate e preservate in un quadro più ampio di quello delle singole patrie. Che quelle patrie manterranno un ruolo soltanto se sapranno dare vita ad un’entità sovranazionale chiamata Europa, capace di bandire le guerre, fare fronte alle emergenze, produrre prosperità e redistribuirla con criteri condivisi. E’ una strada lunga, tortuosa, in salita. Molti di quei condannati a morte sentirebbero di non essere caduti invano guardando le Costituzioni democratiche di alcuni paesi europei e della stessa Unione Europea. Molti ci direbbero senza retorica che dobbiamo andare avanti, che questo è il messaggio più profondo della loro eredità politica e morale.

Gianfranco Pasquino