Resistenza Oggi n. 4 – Un giro del mondo in compagnia di 9 autori (luglio/agosto 2020)

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Il piacere di tante storie

di Michele Zanna

La realtà, la realtà sociale soprattutto, può essere semplicemente descritta, ma anche “narrata”. Nei nostri primi tre bollettini abbiamo ricercato nel linguaggio della stampa quotidiana e periodica, dalla carta stampata al web, vari tentativi di cogliere la realtà sociale e politica: lo abbiamo fatto guardando alla storia d’Italia degli ultimi trenta anni, come anche nel difficile sforzo di affrontare le due tematiche delle disuguaglianze sociali e del razzismo. Questo quarto percorso, ultimo prima della pausa estiva, è tutto dedicato a quella forma di scrittura che la realtà sociale non vuole descriverla, ma “raccontarla”. In poche parole stiamo parlando di quella letteratura che trova il suo contenuto nella cronaca, ma il cui fine è una scrittura romanzata. Il racconto della realtà ha una sua lunga storia. Tra gli autori contemporanei i nomi che si possono citare non sono pochi: da Truman Capote a Ryszard Kapuscinski, da Winfried G. Sebald a Javier Cercas, da Joan Didion a Svetlana Aleksievic, che abbiamo inserito nel nostro elenco. Senza scomodare i classici (Alfieri, Manzoni o Verga) questo vale, anche se in misura minore, per una certa tradizione italiana: Danilo Dolci, Leonardo Sciascia, Corrado Stajano, Walter Siti, Antonio Scurati, Roberto Saviano, Wu Ming.

Per dirla con le parole di un critico: “sono scrittori affamati di realtà, che partono dai fatti ma che credono sia possibile raccontarli con la libertà, la profondità, l’intensità della poesia. Il romanzo non fiction racconta ciò che sta dentro le cose, sopra e accanto ai fatti, non i semplici fatti. Racconta quello che non era visibile ma c’era: le sensazioni, gli stimoli, le ipotesi. Questo la cronaca non può farlo: è dovere della letteratura”.

Come sempre nel nostro caso è impossibile, per motivi di spazio e per il taglio informativo e formativo che il nostro bollettino vuole mantenere, anche solo accennare alle polemiche di carattere accademico: sulla “morte del romanzo” si sono scritti fiumi di articoli, lo stesso vale per la definizione di “romanzo-saggio”. Molto si è discusso se il romanzo storico faccia parte di questo particolare settore della letteratura, infatti si può parlare dell’oggi anche raccontando vicende di ieri, oppure se costituisce un genere con caratteristiche specifiche. Ci si è posto il problema se non sia la memorialistica la migliore via di mezzo tra romanzo e saggio: in questi ultimi decenni ne abbiamo avuti tantissimi di esempi. Rimandiamo per questi aspetti al libro curato da Raffaello Palumbo Mosca, La realtà rappresentata. Antologia della critica sulla forma romanzo (2000-2016), Quodlibet, Roma, 2019. Ogni discorso sul romanzo, sintetizza Palumbo Mosca, porta a “ragionare anche di altro: di politica, di come una società rappresenta se stessa e nello stesso tempo cambia sotto l’influsso delle rappresentazioni che produce. Significa, in definitiva, ragionare sulle modalità stesse del nostro esistere”.

Noi ci affidiamo ai libri di otto autori, in una specie di giro del mondo in (almeno) otto romanzi: in realtà sono molti di più. I nostri romanzieri sono tutti accomunati dal desiderio di capire, di farsi una idea dei luoghi in cui vivono, di ben delineare i personaggi che inventano. Ed eccoli, in ordine come sono impaginati: Amitav Ghosh, Arundhati Roy, Mohsin Hamid, Philip Roth, Svetlana Aleksievic, Leila Sulimani, Chinua Achebe, Amos Oz. Tutti che con la loro autorevolezza conquistata con la forza delle parole, ma sempre anche con l’impegno delle loro vite, hanno dato avvio a tante forme di “ibridazione”: ogni loro romanzo contiene elementi saggistici, come ogni loro articolo o saggio, contiene elementi romanzeschi. Negli ultimi tempi ci sembra di cogliere, certo non in quei libri che troppo facilmente scalano le vette delle classifiche, la necessità da parte dei lettori più attenti, di romanzi che affrontano problemi reali: sotto questo aspetto molti scrittori hanno imparato ad essere eclettici, a cambiare pelle di racconto in racconto. I loro romanzi e i loro saggi contengono molti elementi, ma ognuno di loro si è creato uno stile ben preciso, una lingua che interpreta la realtà anche attraverso la finzione.

Lo spunto ci è stato dato dalla lettura di un piccolo saggio della scrittrice, di origine nigeriana ma che vive a Baltimora: Chimamanda Ngozi Adichie, “Il pericolo di una unica storia” (Einaudi, Torino, 2020). Adichie è una donna, di colore ed è una persona che sa in ogni occasione come esprimersi; scrive romanzi (il suo più famoso: Americanah), ma anche saggi dalla chiara impronta femminista sin dai titoli: “Dovremmo essere tutti femministi” e “Cara Ijeawele ovvero Quindici consigli per crescere una bambina femminista”.

In questo brevissimo testo, che riprende una sua celebre conferenza del 2009, la nostra giovane e coraggiosa scrittrice, evidenzia il rischio che corriamo ogni volta che semplifichiamo troppo, vedendo la realtà attraverso un unico punto di vista: “E’ impossibile parlare di una unica storia senza parlare di potere. C’è una parola, un termine in igbo che mi torna in mente ogni volta che rifletto sulle strutture di potere nel mondo, ed è nkali. Un sostantivo che si può tradurre, liberamente, come . Allo stesso modo dei nostri mondi politici ed economici, anche le narrazioni sono definite dal principio di nkali. Come e quando vengono raccontate, chi le racconta, quante se ne raccontano. Dipende tutto dal potere”.

Gli otto autori da noi prescelti si muovono sempre su due piani diversi stando ben attenti a far corrispondere l’impegno intellettuale e gli obblighi sul piano civile e politico; evitano sempre il pericolo di un’unica storia, il pericolo cioè dell’appiattimento culturale, di una visione identitaria che cancella culture e punti di vista alternativi.

Lapidarie le conclusioni della Adichie: «Molte storie sono importanti. Le storie sono state usate per espropriare e per diffamare. Ma le storie si possono usare anche per dare forza e umanizzare. Le storie possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità spezzata» e ancora: «Quando rifiutiamo l’unica storia, quando ci rendiamo conto che non c’è mai un’unica storia per nessun luogo, riconquistiamo una sorta di paradiso».

Scrittori come Chinua Achebe, Philip Roth e Amos Oz, pur essendo espressione dell’anima più profonda dell’Africa, dell’America e della cultura ebraica, hanno evitato accuratamente nelle loro vite di incorrere nell’errore di costruire “una unica storia”. Allo stesso modo in cui le nuove generazioni di scrittori come Arundhati Roy, Mohsin Hamid e Leila Sulimani non hanno avuto timori reverenziali verso le culture di provenienza (l’India, il Pakistan e il Marocco) per evidenziarne contraddizioni, ipocrisie, incongruenze e ambiguità. Svetlana Aleksievic (Ucraina) che ha scritto uno dei libri più belli sulla seconda guerra mondiale (“La guerra non ha il volto di donna”), ha saputo riflettere come pochi sulle vicende a noi molto più vicine: il disastro di Chernobyl’, la guerra in Afghanistan, la Russia di Putin. Infine Amitav Ghosh (nato in Bangladesh) non smette ormai da tempo di sollecitare l’attenzione di noi tutti sui temi epocali legati all’ambiente e alle migrazioni.

Come ogni elenco che include alcuni nomi ed esclude altri sono prevedibili le obiezioni. Chinua Achebe rappresenta l’intero continente africano, come Philip Roth tutto il continente americano: troppo poco oppure addirittura fuorviante. Non ci sono scrittori italiani e per la letteratura europea mancano affermati autori inglesi, francesi, tedeschi o spagnoli; di più: la scrittrice Leila Sulimani viene definita franco-marocchina e si è occupata poco della cultura occidentale, molto di più di quella orientale. Si potrebbe continuare a lungo, ma è altrettanto semplice trovare valide risposte e osservazioni di segno opposto.

Amitav Ghosh per gran parte della sua vita ha girovagato fra tutti i continenti e la sua poetica affronta temi universali, che poco hanno a che vedere con specifiche identità. Il pakistano Mohsin Hamid è considerato, dalla critica internazionale più attenta, uno dei più promettenti autori della letteratura contemporanea a livello mondiale. Ad Amos Oz nessuno negherebbe una vita e un impegno intellettuale passato a difendere le minoranze di tutte le latitudini, ad iniziare da quella palestinese all’interno del suo paese: Israele. Solo la sensibilità e la determinazione di una donna che è possibile riscontrare in Svetlana Aleksievic, hanno potuto produrre quell’autentico miracolo che sono i suoi bellissimi libri che del romanzesco hanno ben poco. Arundhati Roy ha scritto due soli capolavori in venti anni, ma è riuscita a fare della saggistica una forma di scrittura di alto profilo qualitativo, testimoniando allo stesso tempo un fortissimo coraggio.

Ad ogni autore è dedicato, più o meno, lo stesso spazio e un identico schema: foto, breve vita (di cui siamo debitori al meritorio Wikipedia), una bibliografia (consultando spesso il sito Ibs.it), recensioni prese dalla stampa quotidiana e periodica, interviste o articoli scritti in prima persona. Ogni scrittore può essere letto in modo a se stante seguendo le proprie preferenze. Di ogni autore si è andati alla ricerca di contenuti diversi: dalle recensioni classiche alle interviste, dal discorso pronunciato in occasione del conferimento di un premio al breve saggio, dalle testimonianze più recenti ai materiali di archivio.

Si è soliti affermare che la letteratura, il cinema, il teatro e tutte le altre forme di espressione artisti sono solo termini per indicare varie forme di “scrittura” e quindi di rappresentazione della realtà. Noi abbiamo voluto dare spazio a chi guarda con at- tenzione alla realtà sociale e politica in varie parti del mondo. Come sostiene il premio Nobel Svetlana Aleksievic, in “Preghiera per Cernobyl”: “Ho cercato lungamente me stessa, volevo trovare qualcosa che mi avvicinasse alla realtà, ero tormentata, ipnotizzata, incuriosita dalla realtà. Afferrare quanto vi è di autentico, ecco cosa volevo. E ho assimilato all’istante questo genere, fatto delle voci di uomini e donne, di confessioni, testimonianze e documenti dell’anima delle persone”.

Ognuno dei nostri autori lo ha fatto con la sua immaginazione. A noi non resta, in questi mesi particolari per le vicende che stiamo vivendo, che avanzare un invito: riflettere sull’esperienza che facciamo mentre leggiamo un romanzo; come in un sogno ad occhi aperti le storie possono risucchiarci e compiere il loro incantesimo a tal punto che non capiamo più di avere un semplice libro in mano: buona lettura.