COMMEMORAZIONE VIGO DI SOVIZZO
25 SETTEMBRE 2022
di Gigi Poletto
I fatti
Autorità e gentili cittadini,
l’episodio che ricordiamo oggi è noto. Il 30 settembre del 1944 tre giovani Gelsomino Camerra “Diavolo” di 24 anni, Danilo Ceretta “Anibo” di 19 anni e Ottorino Xotta “Romeo-Tevere” di 18 anni furono coinvolti in uno scontro a fuoco mentre transitavano in questa località e persero la vita: i primi due immediatamente e il terzo qualche mese dopo a Vicenza in seguito alle ferite riportate.
Un quarto giovane Francesco Bertinato, “Neri” di 21 anni, benchè ferito, riuscì a salvarsi.
Lo scontro a fuoco – secondo la ricostruzione ufficiale – avvenne nell’oscurità tra due diverse pattuglie partigiane e fu un caso fortuito tipico delle situazioni belliche in cui sono numerosi gli episodi di “fuoco amico”: da un lato la pattuglia comandata da “Diavolo”, della brigata ‘Stella’ e dall’altro lato una pattuglia appartenente al distaccamento di Luigi Faccin “Negro”, del btg. ‘Lampo’ della brigata ‘Ismene’, operante nell’area di Torreselle.
Lo smarrimento e il dolore per la perdita dei tre giovani partigiani furono enormi. Gelsomino Camerra “Diavolo” era considerato uno dei pilastri più importanti della Resistenza tra questi colli: coraggioso, impavido e abile, instancabile organizzatore, aveva convinto moltissimi giovani ad aderire alla guerra di liberazione.
Tra l’altro questo drammatico episodio si verificò in un momento difficile della vita della brigata Stella che – dopo il successo del disarmo del Sottosegretariato alla Marina della R.S.I., avvenuto a Montecchio nella notte del 23 luglio 1944, operazione che aveva indotto molti giovani ad aderire alla Resistenza e che aveva procurato un surplus di preziosissime armi – ad agosto aveva dovuto patire l’uccisione del suo comandante Luigi Pierobon “Dante” e del suo commissario politico Clemente Lampioni “Pino” e l’intero quadrante occidentale della provincia era stato investito dal terribile rastrellamento alla Piana di Valdagno, l’operazione Timpano in cui “Diavolo” ancora una volta si era contraddistinto per valore riuscendo fortunosamente a mettersi in salvo.
Oggi “fare storia” significa trarre dal passato delle lezioni per il nostro impegno civile e politico di oggi. Nella sua magistrale “Apologia della Storia” il grandissimo storico March Bloch, partecipe della rete partigiana Franc-Tireur e fucilato dai nazisti il 16 giugno 1944 scrive: “L’incomprensione del presente nasce inevitabilmente dall’ignoranza del passato”.
Articolerò il mio dire su 4 direttrici: il contrasto al revisionismo storiografico e il senso della Resistenza, la permanenza del fascismo nella società italiana, la Costituzione come motore di emancipazione sociale, il dovere dell’unità antifascista.
Revisionismo e Resistenza
La prima direttrice riguarda il Revisionismo storiografico e il rifacimento della storia. Siamo davanti ad una dilagante e generalizzata riscrittura della storia e a una offensiva culturale profondamente penetrata nella società, ad una narrazione anti- antifascista.
Inizialmente il revisionismo era orientato a:
- descrivere la Resistenza quale fenomeno minoritario e politicamente ininfluent
- accentuare la contrapposizione tra nazionalsocialismo e fascismo
- leggere la Repubblica Sociale Italiana quale “Repubblica necessaria”
Si tendeva alla completa delegittimazione della Resistenza e alla destrutturazione delle fondamenta antifasciste della Repubblica accompagnata da equiparazioni tra crimini: nella decontestualizzata e tendenziosa ricostruzione di Giampaolo Pansa e di altri alle stragi nazifasciste corrispondevano simmetricamente le vendette e i regolamenti dei conti post-Liberazione, l’ uccisione di Giovanni Gentile, l’esposizione dei corpi di Mussolini, della Petacci e altri gerarchi a Piazza Loreto, la responsabilità degli attentatori di Via Rasella per la truce rappresaglia nazista.
Un intreccio di fatti riletti prescindendo dal contesto e rimuovendo le concatenazioni causali.
Si impose quindi il “rovescismo quale fase suprema del revisionismo” secondo la bella definizione di Angelo d’Orsi per cui la Resistenza secondo una prospettiva rovesciata da fatto epocale di emancipazione della tirannide di un intero popolo oppresso dalla dittatura venne considerata una fucina di crimini, violenze, crudeltà.
Anche oggi si tende a riabilitare il fascismo a considerarlo una esperienza di valorizzazione dell’identità nazionale, una forma di autoritarismo benevolo e dolce, capace di produrre “cose buone” in materia di welfare e di modernizzazione.
La natura totalitaria del movimento e del regime fascista e la sua connotazione criminogena sono acclarate (pensiamo alla definizione di Emilio Gentile del fascismo quale “esperimento totalitario”).
La soppressione delle libertà fondamentali, la persecuzione degli oppositori, l’invasione imperialistica dell’Etiopia e l’impiego massivo dei gas asfissianti, l’alleanza con la Germania razzista e il vario delle leggi antisemite, l’entrata in guerra a fianco di Hitler e la creazione dello Stato vassallo della RSI e il ruolo del fascismo nella Shoah sono elementi di una dinamica consequenziale.
Se il fascismo è stata una dittatura criminale, come possiamo considerare la Resistenza?
Norberto Bobbio ricorda che con la Liberazione i partigiani vittoriosi portarono i doni più importanti di cui l’uomo può avere disponibilità: la pace e la libertà. “Fu come – dice Bobbio – se un vento impetuoso avesse spazzato d’un colpo tutte le nubi e alzando gli occhi potessimo rivedere il sole di cui avevamo dimenticato lo splendore…Un’esplosione di gioia si diffuse rapidamente in tutte le piazze, in tutte le vie, in tutte le case. Ci si guardava di nuovo negli occhi e si sorrideva…Eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi”.
Anche dalla letteratura possiamo distillare alcuni passi che spiegano il senso della Resistenza
Nel suo eccezionale monologo il partigiano Kim ne “I sentieri dei nidi di ragno” di Italo Calvino spiega le ragioni della lotta resistenziale partendo dal “furore” comune ai due campi avversi: “La stessa cosa, ma tutto il contrario: perchè qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena…Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra.. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessun sparo, pur uguale al loro…va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, in cui si possa non essere cattivi”.
Sullo stesso registro in Uomini e No di Elio Vittorini dice la vecchia Selva “Noi lavoriamo perché gli uomini siano felici. Non è per questo che lavoriamo?…Che senso avrebbe il nostro lavoro se gli uomini non potessero essere felici?…Avrebbero un senso i nostri giornaletti clandestini? Avrebbero un senso le nostre cospirazioni?… E i nostri che vengono fucilati?…Avrebbero un senso le bombe che fabbrichiamo?…O avrebbero un senso i nemici che sopprimiamo?…Bisogna che gli uomini possano essere felici. Ogni cosa ha un senso solo perché gli uomini siano felici. Non è solo per questo che le cose hanno un senso?”
Il permanere del fascismo nella società italiana
La seconda direttrice concerne il permanere del fascismo nella società italiana. Secondo Umberto Eco esiste un “fascismo eterno” che lui chiama “Ur- fascismo” identificabile attraverso alcune caratteristiche tipologiche: il culto della tradizione, il rifiuto del modernismo, l’irrazionalismo, il culto dell’azione per l’azione, il sospetto per la cultura e la negazione dello spirito critico, la paura della differenza e il razzismo, l’appello alle classi medie frustrate, il nazionalismo unito all’ossessione del complotto e alla xenofobia, l’elitismo e il disprezzo per i deboli, il culto della vita eroica e della morte eroica, il machismo sessuale, il “populismo qualitativo”. La conclusione di Umberto Eco è netta: “L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti.
Il nostro dovere è di smascheralo ogni giorno e in ogni parte del mondo”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Michela Murgia: il fascismo non è morto, ma come un herpes è acquattato nel corpo della democrazia e ricompare quando gli anticorpi del sistema immunitario democratico si indeboliscono; il fascismo furbescamente – attraverso accorte mimetizzazioni e manipolazioni – potrà servirsi delle stesse opportunità offerte dal sistema democratico e potrà affermarsi non propagandando i contenuti e le idee che lo contraddistinguono, ma semplicemente applicandone il metodo e implementandone il linguaggio.
Altri storici (Claudio Vercelli, Enzo Traverso, David Bidussa) argomentano che il fascismo non si è mai definitivamente estinto nel continente europeo dopo la cesura epocale del 1945 e ha saputo “rigenerarsi” e adattarsi lasciando una lunga cicatrice nella società italiana e il “postfascismo” di oggi non ripropone nostalgicamente un sistema ideologico ma compete per l’egemonia e la persistenza di determinati simboli testimonia il permanere del tempo di postulati ideologici fondati sulla triade identità, gerarchia, ordine.
Già Piero Gobetti aveva parlato del fascismo come di “autobiografia della nazione”. E Antonio Scurati, l’autore del formidabile romanzo su Mussolini, in tema di rapporti tra fascismo e sovranismi denuncia le false equivalenze ma non tace le convergenze che vanno individuate nel “risentimento oscuro delle masse che si orientano, oggi come ieri, verso la seduzione populista, quel misto di senso di delusione, tradimento, declassamento, minaccia che fu il lievito del fascismo cento anni fa ed è oggi lievito del populismo sovranista.
E’ quel che è accaduto in molti Paesi dell’Est europeo dove forze regressive hanno aggredito diritti civili, politici e sociali e alcuni istituti-chiave della democrazia costituzionale sulla base di postulati postfascisti: xenofobia, nazionalismo, comunitarismo organico, identitarismo, ripudio della globalizzazione, protezionismo economico, autoritarismo, plebiscitarismo, culto delle piccole patrie e tribalismo di massa in radicale antitesi alle società aperte e al pluralismo culturale.
Sarebbe pertanto inaccettabile che nel nostro Paese si pervenisse ad un arretramento sul piano dei diritti civili in materia di aborto, fine vita, omofobia, parità di genere etc., sarebbe inaccettabile che il sovranismo ci portasse lontano dall’Europa concepita come “società aperta”, sarebbe inaccettabile una politica dell’immigrazione fondata sulla logica dei muri e non dell’inclusione, dell’accoglienza e dell’integrazione.
Oggi l’antifascismo – lo argomenta efficacemente lo storico Giovanni de Luna – è una concezione della società e della politica legata a valori metastorici e sempre attuali: i diritti politici, civili, economici e sociali, le libertà fondamentali, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà della comunità.
L’attuazione della Costituzione repubblicana
La terza questione riguarda l’attuazione della Costituzione Repubblicana. La Costituzione italiana nasce dunque dalla Resistenza e realizza un efficace compromesso tra le forze e culture politiche che componevano la coalizione del Comitato di Liberazione Nazionale: il liberalismo, il Partito Socialista, il popolarismo, il Partito Comunista, il Partito d’Azione.
Tale compromesso produsse i principi fondamentali ispiratori della Costituzione italiana che Costantino Mortati ha individuato nei principi democratico, personalista pluralista e lavorista.
La nostra Costituzione non disciplina solo i rapporti tra i poteri dello Stato, ma contiene anche le cd. “norme programmatiche” (la principale è l’art. 3 sull’uguaglianza sostanziale) che delineano un grandioso progetto di emancipazione sociale. Gustav Zagrebelsky parla di una “Costituzione programmatica”, una Costituzione “contro lo status quo”, una Costituzione d’opposizione e lo spirito costituzionale è spirito resistenziale nei confronti dei poteri dominanti.
Luigi Ferrajoli è assertore di una concezione sostanziale di democrazia costituzionale: vi sono alcuni diritti fondamentali (diritti di libertà e diritti sociali) che rappresentano vincoli costituzionali ai pubblici poteri. Più recentemente Gaetano Azzariti ha parlato della Carta Costituzionale “utopia concreta” che sostituisca ai poteri selvaggi del mercato il primato della persona, dei diritti fondamentali e della dignità sociale, prospettiva che richiede tre elementi: una forte critica del presente, una diffusa coscienza popolare, una spinta al cambiamento
La nostra Costituzione è anche una Costituzione pacifista che ripudia la guerra e impone di operare per prevenire i conflitti, costruire un contesto internazionale fondato sulla cooperazione e la coesistenza pacifica evitando quella “Guerra grande” premessa del terzo Conflitto mondiale di cui parla l’ultimo numero di Limes. In tale contesto.
Anche relativamente al conflitto in Ucraina, nel ribadire la condanna della criminale invasione russa e la solidarietà con il popolo ucraino aggredito occorre che l’Europa si adoperi in maniera autonoma per un cessate il fuoco, per una soluzione negoziale del conflitto e per la costruzione di un Accordo sulla sicurezza e la cooperazione in Europa sul modello Helsinki 1975.
Il dovere dell’Unità antifascista
L’antifascismo dunque è la risposta ad ogni torsione autoritaria del sistema e deve essere interpretato in modo aperto e inclusivo.
L’unità antifascista è il pilastro fondamentale della stagione resistenziale. Lo riconoscono i protagonisti di allora. Scrisse Sandro Pertini: “Nonostante alcuni dissensi di carattere politico, comprensibili in uomini di diversa estrazione, fummo sempre uniti, anche dopo la Liberazione, da una sincera amicizia basata sul reciproco rispetto delle nostre diverse posizioni ideologiche” E Ada Gobetti: “Proprio l’amicizia – legame di solidarietà fondato non su comunanza di sangue, né di patria né di tradizione intellettuale, ma sul semplice rapporto umano del sentirsi uno con uno tra molti – m’è parso il significato intimo, il senso della nostra battaglia”
Non dissipare questa eredità, battersi per un’Italia migliore in un’Europa unita e solidale, impegnarsi per dare attuazione ai contenuti di giustizia, emancipazione, tutela dei diritti che la Costituzione ci indica è dovere di tutti noi oggi. Questo ci chiedono di fare oggi Gelsomino Camerra, Danilo Ceretta e Ottorino Xotta. E la responsabilità di questa eredità ci sta tutta intera addosso.
Viva la Resistenza e Viva la Costituzione!
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