“Sono una ex prof, ex tante altre cose ma non ex partigiana: perché essere partigiane e partigiani è una scelta di vita”
7 dicembre 2020: due anni senza Lidia…
Giovedì 15 dicembre 2022 ore 20:30
Palazzo Toaldi Capra
Via Pasubio 52, Schio (VI)
proiezione di:
Per Lidia Menapace Appunti per un viaggio da Bolzano
La notte tra il 6 ed il 7 dicembre 2020 se ne è andava a 96 anni Lidia Brisca Menapace, staffetta partigiana nella formazione della Val d’Ossola e dal 2011 membro del Comitato Nazionale dell’ANPI.
Si faceva chiamare “Bruna” e da allora – confidava – non era più in grado di ricordare i nomi, caparbiamente rimossi per non tradire i compagni in caso di cattura.
E’ grazie a lei che molti di noi hanno conosciuto l’esistenza, il valore ed il coraggio di una Resistenza non armata e totalmente antieroica: «Non avrei mai potuto uccidere nessuno, ero così spaventata dalle armi che avevo il terrore di spararmi su un piede”, fatta di sabotaggi, trasferimento di materiali esplosivi e messaggi, scioperi, complicità e coperture capillari, pericolose ma decisive per la sconfitta del nazifascismo ed il riscatto della dignità nazionale.
La Resistenza per Lidia non fu essenzialmente un fenomeno militare ma un movimento politico, democratico e civile straordinario, una presa di coscienza che riguardò anche le donne, per la prima volta protettrici non solo del focolare domestico ma delle strade della città, delle vite di persone sconosciute e non solo dei consanguinei, con le mani strette attorno a un fucile o al manubrio della bicicletta, spaventate ma decise e coraggiose. E a questo proposito, nella giornata della Memoria Lidia invitava a riaprire la questione degli IMI, a dimostrazione del fatto che Resistenza fu un fatto di massa, non una minoranza di esagitati contro altri esagitati, fu la fondazione di una nazione libera e democratica, frutto di cittadinanza attiva.
Una scelta di vita partigiana, quella di Lidia, caratterizzata dal nomadismo, sostenuto dall’amatissimo ma stanziale marito Nene, medico trentino conosciuto nella Fuci, l’associazione degli universitari cattolici, che la portò in Alto Adige. Grazie a questo girovagare Lidia fu protagonista di una molteplicità di attività culturali, associative, politiche ed istituzionali – ultima la candidatura con Potere al Popolo alle elezioni europee del 2018 – che ne hanno contrassegnato l’esistenza lunga ed intensa, spesa con generosità attraversando tutta la penisola – rigorosamente da sola ed in treno – rispondendo alle richieste di chiunque, con disponibilità gratuita ed incondizionata, senza discriminare mai tra grandi e piccole iniziative, luoghi importanti o sperduti e credendo nel valore dell’incontro, dell’ascolto attento e curioso, del dialogo anche acceso ma profondamente rispettoso, della piacevole frequentazione di mense e case ospitali.
Nell’introduzione del suo ultimo libro scrive: «Sono convinta che una nuova strumentazione politica teorica possa muovere non da cattedre, bensì da tavole, non da scranni, bensì da incontri conviviali»
Almeno dagli anni Novanta del secolo scorso sono stati numerosi i suoi viaggi anche nel vicentino: chiamata dall’Anpi o per partecipare a manifestazioni pacifiste oppure richiesta per offrire ragioni alla maturazione di coscienze antifasciste, anti sessiste, antimilitariste e radicalmente democratiche in nome di quella Costituzione che ha continuato a difendere dai ricorrenti tentativi di stravolgimento. A chi l’incontrava accadeva il piacere di conoscere una personalità integra e forte, ironica ed appassionata, coltissima ma accessibile a tutti per la concretezza, la vivacità, l’immediatezza dell’eloquio. Anche questa una scelta di parte contro l’accademismo e lo snobismo intellettuale di chi, anche a sinistra, si chiude in discussioni elitarie che escludono proprio coloro che si vorrebbero rappresentare.
Donna di parte, Lidia è stata capace di abitare ed intrecciare con coerenza e spirito critico contesti molto diversi: dall’adesione al mondo cattolico – ove per un periodo esprime il suo impegno intellettuale e politico – senza peraltro abbandonare mai il confronto con le questioni ultime poste dalle religioni – all’opzione decisa per il marxismo, innestato con originalità sulla questione di genere, declinandone gli esiti teorico-pratici in un intransigente antimilitarismo. Il tutto impreziosito dall’uso magistrale del linguaggio, intenzionalmente e provocatoriamente ripulito d’ogni termine bellico e sessista.
Un aneddoto. Quando, a 21 anni, la Commissione di laurea osò apprezzarne la tesi definendola “frutto di un ingegno davvero virile”, la rimbeccò prontamente affermando che la candidata era proprio una donna e quindi casomai “isterica”, non certo virile! E spiegava nella prefazione a Parole per giovani donne (1993) perché la desinenza femminile è rimossa nell’universale maschile:
“Non si fa perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare memorabili, degne di memoria, degne di entrare nella storia in quanto donne, non come vivibilità, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo della oscurità sulla propria. Questo è infatti il potere simbolico del nome, dell’esercizio della parola”
E grazie ad un eloquio diretto ed irriverente, Lidia demistificava e spesso ridicolizzava narrazioni politicamente corrette e poteri consolidati, anche a sinistra, che non sempre hanno gradito; per oltre 20 anni, con una enorme quantità di firme e petizioni si è cercato senza successo di farla eleggere in Parlamento, anche attraverso la nomina a Senatrice a vita; ciò è accaduto solo nel 2006, candidata nelle liste di Rifondazione Comunista, dove perse la scontata presidenza della Commissione Difesa per le sue dichiarazioni sulle Frecce Tricolori, “inutili, uno spreco”. Originalità di pensiero e coerenza di stile grazie alle quali non entrò mai nei “cerchi magici” di poteri e contropoteri, confidando però a volte la sua solitudine: con leggerezza e quel sorriso solare che apriva luci, anche nella condivisa consapevolezza di abitare tempi bui, perché “ se vuoi essere una donna libera, non devi lamentarti mai”.
Quali le intuizioni teoriche che ci lascia in eredità?
Innanzitutto il metodo: la sua è intenzionalmente una “teoria d’occasione”, nel senso montaliano del termine: lo squarcio di una prospettiva teorica che s’innesta in una relazione concreta col tempo e lo spazio, scandaglia a 360° l’orizzonte storico cercando le maglie rotte nella rete che lega le vicende umane per individuare nelle crisi catastrofiche (katà-strophes = capovolgimento) le occasioni per radicali cambiamenti.
Dunque qualche frammento del suo riflettere, acuto e vivace fino alla fine.
Marxianamente radicata nella necessità di una critica puntuale alla struttura del sistema capitalistico, Lidia intreccia in modo indissolubile economia e questione di genere, delle quali il lavoro è punto di vista originario, oltreché fondamento della Costituzione italiana. Ma si spinge oltre Marx: lavoro non è solo quello produttivo, lo è pure quello riproduttivo – declinato in biologico, domestico e sociale – che lo rende possibile e ne è condizionato, tanto è vero che se il primo determina sviluppo sociale e qualità della vita, immediate emergono nel secondo le ricadute demografiche.
La cura è la modalità di esercizio dell’ economia riproduttiva: dal crescere bambini alla custodia della Costituzione, affidata al Presidente della Repubblica, passando per istruzione, sanità, pubblica amministrazione e inglobando pure le attività del settore primario, che hanno a che fare con l’ambiente; il valore d’uso è il criterio che ne presiede l’esercizio, poiché riguarda bisogni/diritti universali riferibili, dunque, all’ambito dei “beni comuni”, cioè a dimensioni dell’umano incompatibili con la competizione, che governa la produzione delle merci. Questo aspetto dell’economia richiede forti investimenti ed è antagonista alle spese militari perché può svilupparsi solo in una situazione di pace. Dunque, ogni ragionamento economico deve intrecciare questi due aspetti, come lo sono nell’esperienza delle persone e dei popoli. L’economia, insomma, per Lidia deve tornare ad essere ciò per cui è nata nella Grecia del IV secolo, la scienza del governo della casa.
Premesso questo, Lidia conduce un’analisi della realtà lucida ed appassionata, facendo propria la lezione di Rosa Luxemburg sia per quanto riguarda la critica al capitalismo ed al militarismo, che l’attenzione all’ambiente e la tensione verso una democrazia compiuta, contro l’autoreferenzialità ingessata ed autoritaria della politica.
Ella nota che la crisi attuale ed insuperabile del capitalismo ha origine nella ristrutturazione degli anni 80. Se in Occidente essa ha innescato un processo di de-industrializzazione, precarizzazione del lavoro e svuotamento dei diritti sociali, a livello globale ha accentuato disuguaglianze e conflitti perché capitalismo e imperialismo sono connaturati; ovvero esso tende al controllo onnivoro su scala globale delle risorse ed al consumo indefinito delle stesse. Conseguenze strutturali sono le crisi climatico-ambientale e la necessità della guerra, che è funzionale sia ad affermare l’egemonia economica e politica di potenze di diversa entità, che a reprimere la ribellione di popoli maldisposti a subirla, che a risolvere impoverimento e crisi economica globali innescando quella corsa al riarmo che è causa e conseguenza delle guerre stesse. Ma si tratta di una via d’uscita oggi impraticabile perché prevede l’uscita da tutto, la fine del mondo dopo l’invenzione e lo sdoganamento delle armi atomiche. Dopo che le guerre degli anni 90 hanno del tutto screditato le Nazioni Unite – avverte Lidia – e vigoreggia la Nato, bisogna avere molta paura delle sue trasformazioni in strumento militare del mondo capitalistico nel suo complesso. L’alternativa europea alla Nato, afferma, è un modello di difesa volto alla neutralità militare, poggiato sulla sola difesa territoriale del continente, che produrrebbe innanzitutto un risanamento del debito pubblico e l’avvio di una politica della difesa popolare nonviolenta, con l’obiettivo che efficacemente così sintetizza: “fuori la guerra dalla storia!”
Ma la crisi in atto rivela con sempre maggiore chiarezza che il capitalismo è connaturato col patriarcato: si inaspriscono le gerarchie sociali, si svuotano di dignità e diritti tutte le soggettività altre dal maschile/femminile omologati, si assiste ad una deriva antidemocratica dove aumenta il controllo sociale, in tutte le sue forme, mentre la politica si presenta nella forma del leaderismo – versione aggiornata del mito dell’eroe – nella logica del gruppo identitario, simbiotico con il capo, mentre la violenza riduce il corpo proprio ed altrui a strumento, che ha nel corpo militare il proprio culmine, mentre ogni ambito dell’umano è mercificato e assoggettato alla logica del profitto. Ne conseguono imbarbarimento delle relazioni e della qualità della vita, sottoposte a logiche alienanti, autoritarie, spesso violente : dal rilancio del “merito”, che svuota l’inalienabilità universale dei diritti, alla volgarità, dalla crescente brutalità delle relazioni che s’esprime pienamente nella violenza contro le donne, contro chi è fragile, contro ogni diversità – da quelle più intime a quelle socio-economiche o politiche – fino alla guerra come strumento per affrontare le controversie internazionali.
In questo scenario di crisi le donne diventano un esercito di riserva del mercato del lavoro, sono rinviate a domicilio, funzionali al rilancio della famiglia come “servizio sociale onnicomprensivo”, detto impropriamente “lavoro di cura”, ovviamente non pagato. L’idea di modernizzazione è stata il cavallo di Troia di quest’operazione reazionaria, bandiera di una politica potentemente in crisi di rappresentanza, che nel tempo ha trasformato anche se stessa.
Ciò è avvenuto – avverte Lidia – attraverso la semplificazione della complessità sociale, politica e culturale, intervenuta con la “fine delle ideologie”. Una scorciatoia – che pure è ideologica, perché è la falsa coscienza di una realtà che invece è molteplice e spesso irriducibile a sintesi – che scivola verso il decisionismo ed il presidenzialismo, con forme oligarchiche di governo.
La governabilità è infatti il mantra che si scaglia contro il parlamentarismo, sprecone e inconcludente, e mentre le antiche aggregazioni si sono trasformate in partiti leaderistici, in realtà vige un pensiero unico, che riflette una cultura tardo-capitalista e neoliberista giunta al capolinea e priva di alternative. P
ungente la sua riflessione sul governo Monti, che peraltro ha avuto più di un seguito, anche recente, vale riportarla: “operazione dei mercati: ormai l’Italia è una repubblica presidenziale, dato che la massima magistratura di garanzia si è trasformata nella massima magistratura dell’esecutivo”.
Dunque, conclude Lidia, riprendendo il pensiero di Rosa Luxemburg, di fronte all’attuale crisi internazionale c’è il rischio della barbarie se non si prepara un’alternativa. In sintesi, socialismo o barbarie!
Con quali proposte?
Innanzitutto – con quello spirito che aveva insegnato ai fondatori del Manifesto citando Teresa di Lisieux: «Noi non contiamo niente, ma dobbiamo operare come se tutto dipendesse da noi» – serve agire, entrando nei processi in atto per governarli, in alleanza col movimento delle donne, perché “ l’unica rivoluzione del Novecento andata a buon fine e senza violenze è stata la rivoluzione femminista”; un movimento che aveva definito carsico come un fiume che talvolta sprofonda nelle viscere della terra per riapparire in luoghi e tempi imprevisti con rinnovata potenza.
Questa alleanza è imprescindibile perché permette di rovesciare i paradigmi dominanti, mettendo al centro della riflessione economica e della pratica politica l’economia della riproduzione. Solo così l’economia mercantile assumerà coscienza e misura del suo limite evitando che la produzione diventi disastro ambientale e consumo dissennato di risorse, speculazione nefasta e mercificazione d’ogni cosa fino all’annichilimento del pensiero. L’obiettivo è garantire lo sviluppo umano della società, come richiede l’attuazione della Costituzione, che afferma il valore non mercantile della persona, del lavoro, della pace.
Ma per rifondarsi la politica deve ripartire da una pluralità di alleanze, costruite a partire dalla vita quotidiana – perché il personale è politico – rinvenendo percorsi condivisi con una molteplicità di concrete soggettività, consapevoli di sé (operai, donne, ambientalisti, pacifisti etc). Alleanze non strumentali ma pattizie, fondate sul reciproco riconoscimento. Operazione alta e non scontata perché, ricorda Lidia, «Il processo della conoscenza-riconoscimento-riconoscenza non è né meccanico, né facile: richiede volontà, efficacia e anche strumenti, persino istituzioni ad hoc». Ciò è possibile mettendo in gioco ragione, volontà, tenacia, generosità, come quando era necessario non cedere a Hitler o Mussolini, per costruire relazioni e fare lotte mentre si va elaborando e diffondendo una nuova cultura politica.
Su queste basi può ritrovare una funzione anche la forma partito, dotato di struttura leggera, funzionale all’insediamento elettorale, retta da convenzioni pattizie che mirano alla comune utilità, delle quali è sempre possibile verificare l’attuazione. Ma ciò non significa né spontaneismo né anarchismo.
Lidia mantiene una visione politica forte, caratterizzata da un “noi” strutturato, fondato sul consenso che nasce da relazioni paritarie tra soggettività diverse per linguaggi ed universi simbolici e, attraverso il dialogo ed il confronto, capaci di costruire un blocco espressivo della complessità sociale; un “noi” che sia portatore di un orizzonte condiviso di riferimento e che sia capace di un agire organizzato.
Ci tiene, Lidia, a prendere le distanze da quel generico pluralismo che facilmente sparisce nelle sintesi partitiche, che sono pericolose anche da un punto di vista culturale, perché facilmente scivolano verso la tendenza all’omologazione identitaria, a marginalizzare, escludere, criminalizzare il diverso o anche soltanto il simile, che non è l’uguale.
Lidia non nasconde che oggi questa ricostruzione socio-culturale della politica è più difficile, incerta, scomposta, inquinata che nel dopoguerra ma senza questa operazione si finisce per condividere la narrazione dominante che non prevede né possibilità di resistenza né l’orizzonte del suo superamento
Si parte con azioni semplici nel quotidiane, per esempio con l’opporsi alla celebrazione in armi della festa della Repubblica, orribile ed incostituzionale (art. 11), “mentre – afferma convinta – bisognerebbe ballare tutta la notte, come in Francia il 14 luglio, usare giardini pubblici e parchi urbani per fare pranzi di cucina italiana da scambiare con cibi preparati dai migranti per celebrare una cittadinanza molteplice e non identitaria, cominciando a farlo subito, dal basso, senza benedizioni istituzionali”
Una ricostruzione culturale che rende necessario anche riaprire un confronto in seno alla sinistra e tra le associazioni su fascismo e antifascismo oggi; in primis a carico dell’Anpi, la cui storia è la principale spinta verso queste problematiche.
Concludo con un ricordo personale che, a mio modo di vedere, sintetizza il messaggio con cui Lidia non smette di pro-vocare tristezza, pessimismo, sconforto, rassegnazione, dolore, rabbia che attraversano quelle coscienze che, nonostante tutto, intendono rimanere lucide e vigili sul pezzo di storia che stiamo attraversando.
Alla fine di un incontro, organizzato a Schio per i festeggiamenti “lunghi un anno” dei suoi splendidi ottant’anni, a chi le esprimeva dubbi e scoramento sulle prospettive del presente rispondeva con convinzione: “Dopo la guerra abbiamo ricostruito su macerie, sulle macerie oggi ricostruiremo di nuovo”.
Patrizia Farronato
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