La violenza, il razzismo, il conformismo e il totalitarismo del fascismo raccontati dal cinema dell’Italia repubblicana
Si può ben dire che l’inizio dell’opera di rimozione della tragica esperienza del fascismo dalla memoria pubblica è coinciso con la sua caduta, il che ha permesso quella sorta di minacciosa continuità tra il ventennale regime totalitario e molti settori e apparati dello Stato repubblicano.
Conclusa l’esaltante, ma brevissima, stagione del Neorealismo, che produsse capolavori tutt’oggi ammirati in tutto il mondo, anche nel rinato cinema italiano del dopoguerra il fascismo, così come la Resistenza, scomparve dagli schermi italiani almeno sino all’inizio degli anni sessanta del novecento.
L’oscuramento del fascismo al cinema per un quindicennio era il frutto della rapida rimozione del passato e dell’indulgenza verso il regime, come se il fascismo fosse stato una semplice parentesi nella storia italiana, estranea alla sua tradizione e senza responsabilità da parte del popolo italiano, presentato come vittima della barbarie fascista.
Nel 1947 a questo frettoloso “colpo di spugna” generalizzato e a questa malintesa opera di pacificazione nazionale si aggiungeva il ripristino della censura con le stesse modalità disciplinate dalle norme fasciste del 1923, una censura che interveniva preventivamente nella stesura dei soggetti cinematografici e, successivamente, sull’opera realizzata.
A dimostrare la difficoltà, materiale e mentale, di uscire dal fascismo anche nei primi anni della Repubblica, ricordiamo alcuni dei più eclatanti interventi censori sul cinema.
La censura non mancò di intervenire quando alcuni film vietati durante il regime fascista vennero proposti al pubblico italiano dopo la guerra, come nel caso de Il grande dittatore che Charlie Chaplin girò nel 1940. Prima di essere ammesso in Italia nel 1949, il film subì il taglio di tutte le scene dove compariva la moglie di Bonito Napoloni (un esplicito riferimento al Duce), per non urtare la sensibilità della vedova di Mussolini, Rachele Guidi, ancora vivente.
Il film Casablanca del 1942, diretto da Michael Curtiz, imperniato sulla storia di un amore impossibile all’interno della Resistenza al nazismo, venne proiettato in Italia nel 1946, solo dopo che, nel doppiaggio, la frase riferita al sostegno fornito dal protagonista alla resistenza etiope contro l’invasione colonialista italiana, diventava un incomprensibile “aiuto fornito ai cinesi”, mentre vennero eliminate tutte le scene in cui compariva l’ufficiale italiano di collegamento con i nazisti.
Nel 1953 con il suo film Anni facili Luigi Zampa denuncia il trasformismo e il camaleontismo fascista del dopoguerra che hanno permesso la sua sopravvivenza nella burocrazia ministeriale. Prima di arrivare al via libera censorio la sceneggiatura dovette essere riscritta tre volte e, alla sua uscita, il film, venne immediatamente sequestrato con l’imposizione del taglio di seicento metri di pellicola e del divieto di esportazione all’estero in quanto considerato lesivo dell’immagine dell’Italia.
Sempre nello stesso anno l’episodio più grave dell’autoritarismo e della repressione censoria contro il cinema. Nel 1953 due scrittori di cinema, Guido Aristarco e Renzo Renzi, pubblicarono su “Cinema nuovo” l’ipotesi di sceneggiatura di un film sulla disonorevole, non solo militarmente, campagna di Grecia a fianco dell’esercito tedesco, intitolato L’armata s’agapò.
La giustizia militare li accusò di vilipendio e denigrazione delle forze armate e li fece arrestare. I due autori furono condannati a sette mesi di galera, in parte scontati nel carcere militare di Peschiera. La corte di giustizia militare era composta da militari ex repubblichini.
Scelta delle immagini e commento: Elvio Bissoli, Collaborazione: Carla Poncina Ricerche iconografiche: Marco Marcante
Montaggio audio e video: Irene Maria Bissoli, Gianni Marcante
Durata: 80’ ca.
“Tragedia e commedia del fascismo nel cinema italiano” è un progetto dell’ISTREVI, Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Vicenza, e dello SPI-CGIL
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