Orazione di Igor Baruffi
Presidente Anpi Alta Valle del Reno
Il merito del nostro “ritrovarsi” va riconosciuto proprio ad Antonio Giuriolo, quella persona che ancor oggi, per il suo coraggio di combattente e per le proprie idee di rifondare l’Italia come Stato realmente democratico, è diventato un riferimento per le nuove generazioni.
Capitan Toni, alpino, chiamato a più riprese alle armi ed inviato nel 1943 in Slovenia col 7° Reggimento Alpini, fu lì, che fece esperienza dal vivo della guerriglia che combattevano i Partigiani iugoslavi contro gli eserciti occupanti tedeschi ed italiani Antonio, per gli amici era uomo di penna, che avrebbe voluto continuare a passare ore nelle biblioteche.
Il destino e la sua convinzione lo portarono ad imbracciare il fucile L’otto settembre 43 seppe subito scegliere la propria strada: entrare nelle Formazioni partigiane dell’Altopiano d’Asiago.
Successivamente accettò di comandare la Formazione “Matteotti” nel nostro Appennino Tosco-Emiliano. In breve tempo divenne uno dei più capaci e stimati comandanti partigiani. Oltre al personale coraggio, alle capacità strategiche apprese in terra slava, venne fuori un’altra forte componente del suo carattere e della sua persona da tempo formata sui valori della democrazia e del rispetto dell’altro.
Un Comandante che sapeva organizzare i propri uomini, prepararli al combattimento e sapeva infondere fiducia nei momenti difficili. Guidò in quella giornata del 12 dicembre 1944 la Matteotti Montagna che occupò la postazione tedesca della Corona. Durante un violento contrattacco nemico fu colpito a morte da una raffica di mitragliatrice, mentre era intento a soccorrere un combattente della propria formazione che giaceva ferito.
E’ da qui, da questo cippo, che riparte il nostro impegno nel continuare a percorrere quella strada che lui ha tracciato, che è la consapevolezza del significato di Libertà. Per lui la libertà non aveva un valore individualistico, riguardante solo gli interessi personali.
Al contrario la parola Libertà aveva per lui un senso quando era intesa come traguardo per tutta la società, quando i diritti personali si fermano di fronte alla limitazione dei diritti degli altri. Giuriolo insegna che fare politica è fare i conti con la realtà del tempo in cui si vive. E lui è stato coerente, ha voluto dare il proprio contributo per fare i 2 conti col suo tempo, lottò per un’Italia opposta a quella che era l’Italia fascista di allora.
Il suo pensiero era quello di realizzare un’Italia democratica, un’Italia solidale, che significa un’Italia che tocca con mano la solidarietà tra gli Italiani e anche con altri popoli.
Gli aspetti da conoscere di questo combattente sono molti e il ritrovarci qui ha una grande importanza perché Giuriolo ci sprona a riflettere.
Ci segnala di tenere in mente le problematiche sociali della propria Nazione e il suo insegnamento arriva fino ai giorni nostri, ci spinge oggi a tener conto delle molteplici difficoltà di vita in cui si trovano gli italiani, difficoltà che devono essere affrontate e risolte.
Il pensiero di Giuriolo è attuale anche oggi. Sappiamo che la nostra Associazione combattentistica non si ferma a ricordare coloro che sono caduti durante la guerra, ma affronta anche importanti fatti contemporanei, che si sono verificati nei decenni della Repubblica.
Noi oggi ricordiamo la morte del capitan Toni avvenuta il 12 dicembre 1944, ma questa data, il 12 dicembre, nei nostri tempi odierni ci ricorda qualcos’altro, un efferato evento: la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, un grave attentato terroristico compiuto nel centro di Milano presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura.
La Corte di Cassazione fece chiarezza: la strage fu opera di «un gruppo eversivo fascista costituito a Padova nell’alveo del gruppo Ordine nuovo».
Si potrebbero andare a citare tanti fatti e tanti aspetti ma in questo momento, davanti al cippo di Capitan Toni, si può sentire l’insegnamento che ci ha lasciato l’intellettuale e combattente Antonio Giuriolo: conoscere e riflettere per apprendere e contrastare tutte quelle forze che sono nemiche della democrazia.
Questo è il suo testamento.
E qui oggi lo onoriamo.
Antonio Baruffi
ANPI Alta Valle del Reno
Orazione di Gigi Poletto
Presidente Anpi Vicenza
Antonio Giuriolo, intellettuale, partigiano, capitano degli Alpini e medaglia d’oro al valor militare ebbe i natali ad Arzignano nel Vicentino e cadde eroicamente sull’Appennino qui in località Corona a Lizzano in Belvedere il 12 dicembre 1944. Antonio Giuriolo dimostrò in tempi non sospetti un convinto antifascismo, aderendo dopo l’8 settembre al Partito d’Azione e combattendo – nell’ambito delle formazioni “Giustizia e Libertà” – nel Friuli, nel Bellunese, sull’Altopiano di Asiago – dove organizzò il gruppo prevalentemente di studenti universitari dei “Piccoli Maestri” immortalato da Luigi Meneghello – e infine comandando una Formazione Matteotti proprio sulla Linea Gotica.
Proverò a delineare alcuni tratti della personalità di Giuriolo attraverso la ricostruzione della sua figura che ne hanno fatto Luigi Meneghello ne “I piccoli Maestri” e ne “Fiori Italiani” e Norberto Bobbio nelle commemorazioni di Vicenza nel 1948 e di Bologna nel 1964 facendo parlare essenzialmente loro, che frequentarono Giuriolo.
Nel crogiuolo della solitudine degli antifascisti prima e della partecipazione corale dei partigiani alla guerra di liberazione poi si formarono personalità grandi e uniche, ma Giuriolo spicca tra queste in quanto scrive Bobbio “rappresentò l’incarnazione più perfetta che mai io abbia visto realizzata in un giovane della nostra generazione dell’unione di cultura e vita morale”: i valori etici di Giuriolo, in parte ereditati dalla famiglia, ma costretti a dispiegarsi nel contesto della dittatura trovavano nella cultura un alimento fondante della costruzione della propria spiritualità. Dunque una fusione perfetta di etica e intelletto e di pensiero e azione che trova approdo nella lotta politica finalizzata a liberare il popolo dalla tirannide.
Di vera e propria crociana “religione della libertà” è giusto parlare a proposito di Toni Giuriolo perché la libertà “era l’alimento stesso della vita intellettuale e morale” scrive Luigi Meneghello ne “I fiori italiani”. Toni Giuriolo – scrive Meneghello era “una personalità straordinaria animata da forze miracolose”. Aggiunge sempre Meneghello: “Esteriormente era restato un uomo schivo e poco appariscente, ma conoscendolo ci si trovava davanti a un prodigioso e misterioso maestro. Ciò che toccava tornava vivo. Una tranquilla potenza si generava in ogni cosa che il suo animo accoglieva”. L’evocare i concetti di miracolo, di prodigio richiama qualità quasi magiche: tale era la forza e l’irriducibilità unica della sua personalità nel duro disciplinamento dell’epoca fascista.
Di carattere era pacato e riflessivo, era – dice Norberto Bobbio – una “presenza insieme così solida e tranquilla, così forte e serena” e in lui era riconoscibile uno “schivo candore”, unitamente alla “sobrietà di gesti e di atteggiamenti”. Giuriolo – aggiunge Meneghello – “aveva un senso schietto e cordiale dell’amicizia, stava volentieri con gli amici, gli piaceva ridere con loro”, pur se talvolta si intravedeva un’eco di lontana e inespressa sofferenza, una sorta di “malinconia remota”.
E’ sempre Meneghello a spiegare la formidabile influenza che lui esercitava sui suoi discepoli: “era essenzialmente un esempio”. Su di lui si imperniava il piccolo gruppo di studenti che gli si raccolse attorno nella primavera del 1944.
Scrive Meneghello ne “I piccoli maestri” “Senza di lui non avevamo veramente senso, eravamo solo un gruppo di studenti alla macchia, scrupolosi e malcontenti; con lui diventavamo tutt’altra cosa: Antonio era un italiano in un senso in cui nessun altro nostro conoscente lo era; stando vicino a lui ci sentivamo entrare anche noi in questa tradizione.
Sapevamo appena ripetere qualche nome, Salvemini, Gobetti, Rosselli, Gramsci, ma la virtù della cosa ci investiva: eravamo catecumeni, apprendisti italiani”. Il rapporto tra Giuriolo e i suoi amici-discenti – “educatore senza cattedra” – secondo la bella espressione di Bobbio – il cui insegnamento si svolgeva non nelle aule scolastiche ma negli spazi aperti di Vicenza e nel corso di conversazioni informali e anche casuali era una relazione che non lasciava indifferenti, ma generava un cambiamento, che però non veniva imposto né suggerito forzosamente (“Antonio ci lasciava cambiare per conto nostro, senza intervenire a sollecitarci dall’esterno” osserva Meneghello), ma scaturiva dallo spessore di cultura e di sostanza etica delle idee in sé.
L’attitudine antiretorica di Giuriolo è stata icasticamente disegnate ne “I piccoli maestri” nell’episodio dell’incontro nel Bellunese località denominata California tra i partigiani guidati da Giuriolo con un efficiente e bene armato reparto garibaldino formato da partigiani “laceri, sbracati, sbrigativi, mobili, franchi, incarnazione concreta delle idee – dice Meneghello – che noi cerchiamo di contemplare”. Guidava questo reparto di partigiani comunisti un uomo “piuttosto giovane, robusto, disinvolto” che “aveva scritto sul viso: comandante, aveva calzoni da ufficiale, il cinturone di cuoio, il fazzoletto rosso. Era ben pettinato, riposato, sportivo cordiale”. Antonio Giuriolo aveva invece vesti dimesse e “sembrava un escursionista”. Il comandante garibaldino si avvicina con fare lieto, alza il pugno chiuso e dice con forza e gioia “Morte al fascismo”. “Vibrava di salute, fierezza ed energia” scrive Meneghello. Ebbene Toni Giuriolo avanza e con imbarazzo tende la mano e dice “Piacere, Giuriolo”. L’episodio realizza plasticamente la scelta netta di Toni di rifiutare la retorica, quella retorica che era attributo tipico del regime fascista e che aveva esercitato una seduzione su tanta parte del popolo italiano.
Renato Camurri nel suo imperdibile “Pensare la libertà” ricostruisce la formazione culturale di Giuriolo e il suo pensiero politico. La formazione di Giuriolo è un processo ampio e stratificato, un “viaggio interiore” che dall’intreccio di morale e cultura fa sgorgare la sensibilità civica, l’impegno politico e la lotta armata quale premessa necessaria del riscatto (“Noi abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di prendere le armi contro questa patria presente, per realizzarne una migliore nell’avvenire” scrive Giuriolo).
Ma è soprattutto l’analisi del corpus dei Quaderni dove Giuriolo annota le sue riflessioni e appunti su letture che evidenzia un percorso di interpretazione della tirannia e di innamoramento della libertà. Una “officina” – come argutamente è definita da Camurri – in cui trovano spazio classici greci e latini (si vedano ad esempio gli appunti su Tucidide, Demostene e Tacito) e che ha nella rilettura dell’opera del Machiavelli in chiave di attualizzazione politica un pilastro fondamentale.
Sono inoltre dimostrabili le forti assonanze tra le riflessioni di Giuriolo e l’ariosa e innovativa elaborazione contenuta “Il socialismo liberale” di Carlo Rosselli a partire dal concetto di libertà: una libertà come divenire e sviluppo, come valore avente un fondamento sociale, come premessa di cui l’uguaglianza è compimento, come autogoverno e promozione dei diritti. L’incursione di Giuriolo nel pensiero di alcuni autori stranieri legati all’umanesimo socialista ma lontani dal rigido dogmatismo marxista quali Henri de Man e Hyacinthe Dubreuil proiettano il giovane intellettuale vicentino nel vivo di una ricerca inedita di soluzione ai problemi sociali ed economici aperta alle suggestioni più innovative della cultura europea.
Espressione di un umanesimo socialista e liberale, “eretico”, libertario e antitotalitario, Antonio Giuriolo ha ancora molto da raccontare a noi che viviamo in un’epoca così impoverita di personalità capaci di esercitare un elevato magistero morale e così sradicata da orizzonti di senso politico. Oggi viviamo in condizioni di libertà politica e civile, ma manca la giustizia perché il disagio sociale aumenta e si ampliano le disuguaglianze.Ecco l’inesausta modernità di Giuriolo.
Gigi Poletto
Presidente Anpi Vicenza
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