Eugenio Magri, è nato il 1 aprile 1928 e, giovanissimo, ha partecipato alla Resistenza.
Poi per molti anni si è impegnato nell’attività sindacale e politica.
E’ stato autore e promotore di numerose mostre su argomenti storici e civili apprezzate in tutt’Italia. Uomo di profonda sensibilità umana e di grande preparazione culturale tutt’ora esercita un formidabile e riconosciuto magistero morale nella società vicentina.
Vedi intervista al Partigiano Magri: https://www.noipartigiani.it/eugenio-magri/
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Intervista de “Il Patriota” ad Eugenio Magri
Eugeno Magri, da giovanissimo nella Resistenza, “Oggi la stella polare sono i diritti costituzionali”
Eugenio Magri, è nato il 1 aprile 1928 e, giovanissimo, ha partecipato alla Resistenza. Poi per molti anni si è impegnato nell’attività sindacale e politica. E’ stato autore e promotore di numerose mostre su argomenti storici e civili apprezzate in tutt’Italia. Uomo di profonda sensibilità umana e di grande preparazione culturale tutt’ora esercita un formidabile e riconosciuto magistero morale nella società vicentina.
Eugenio, vuoi ricordare come da giovanissimo ti sei avvicinato all’antifascismo?
A Vicenza dove abitavo, c’era un gelataio friulano nei pressi di casa mia e un giorno – poteva essere il 1939 o il 1940 – casualmente sentii che veniva pronunciato da alcune persone il nome di Giacomo Matteotti, persona a me completamente sconosciuta. Avevo notato che nell’avvicinarmi subito si erano zittiti e avevano cambiato argomento. Incuriosito mi avvicinai e chiesi informazioni su questo tal Matteotti. Il gelataio tentò di cambiare argomento, ma io insistetti anche nei giorni seguenti con una specie di ricatto: “Acquisto il gelato, se tu mi parli di questo tal Matteotti”. Alla fine il gelataio con fare circospetto e, sottovoce per non farsi sentire, mi raccontò la storia di Matteotti. Fu quella la prima volta che avvertii come esisteva un’altra Italia al di fuori dei circuiti ufficiali del regime fascista.
E poi? Attraverso quali canali e in che forme hai preso contatto con gli uomini della Resistenza?
Qualche anno più tardi verso la fine del settembre 1943 fui invitato ad una riunione in una cantina poco distante dalla mia abitazione. Saremo stati dieci, quindici persone. Un uomo più anziano, molto preparato ed eloquente – probabilmente un vecchio antifascista – cominciò a parlare della necessità di liberare l’Italia dai tedeschi e dai fascisti. Io ero d’accordo, perché da sempre non sopportavo i fascisti. Ma poi cominciò a parlare della “democrazia”. Io ero giovane ed ero cresciuto nel clima costrittivo del regime fascista dove c’era un unico partito e comandava un uomo solo. Chiesi lumi sil significato del termine “democrazia”. Allora mi fu spiegato che la democrazia era la libertà di esprimersi e di partecipare alla vita politica e sociale, che la democrazia erano i diritti delle persone che non possono essere conculcati, che la democrazia era uno Stato completamente rinnovato fin dalle fondamenta. Allora dissi: “Se tutto questo è la democrazia, allora sono con voi”.
Quali concretamente furono le attività di resistenza ai tedeschi che metteste in atto?
Ad ottobre ci era stato detto di preparare il vestiario per andare in montagna, ma la cosa poi non si perfezionò e rimanemmo in città.
Rubavamo armi ai tedeschi, trasportavamo armi, portavamo volantini e facevamo sabotaggi. Era una attività intensa e pericolosissima perché l’esercito tedesco stringeva Vicenza in una morsa repressiva molto efficace.
Ci puoi raccontare qualche episodio?
Ce ne sarebbero tantissimi, perché in quei mesi l’attività era veramente frenetica. Un giorno portammo un carretto pieno di bombe a mano nei pressi della stazione delle tramvie vicentine per farle pervenire alle bande che operavano sui monti e nei pressi della telefonia di Vicenza in Piazza Castello vi erano molte armi ammucchiate, ma sorvegliate dai tedeschi. Decidemmo di tentare di appropriarsene. Io cercai di distrarre il tedesco di guardia. Ma non era facile anche perché in quel momento delicato arrivò una moto tedesca. La guardia si accorse tardivamente del nostro tentativo di impossessarci delle armi. Riuscimmo alla fine a prendere un fucile e poi scappammo via, io sopra il retro del carretto con il fucile sotto. Riuscimmo a raggiungere poi il deposito dove facevamo convogliare tutte le armi.
La rete informativa era molto efficiente e noi sapevamo con molta precisione dove erano state collocate le armi. Si trovavano nei tombini e molte erano state gettate anche nei fiumi e alcuni di noi che erano ottimi nuotatori riuscivano a prenderle. Poi le armi venivano introdotte nelle fascine per passare i posti di blocco. Una volta ad un posto di blocco presi molta paura. Avevo una fascina che conteneva due fucili. La guardia tedesca sembrò insospettirsi; io tremavo ma ebbi la presenza di spirito di chiedergli in tedesco delle sigarette. Allora lui mi rispose che ero troppo piccolo per fumare, ma mi fece passare. Non so se mi sono salvato per questo espediente, ma è verosimile. Mi tremavano le gambe, perché sapevo cosa mi sarebbe successo se fossi stato scoperto e catturato.
I fucili venivano poi puliti, riparati e portati in un luogo sicuro.
Eravate tutti giovanissimi?
Sì certo: 13, 14 o 15 anni. Eravamo giovanissimi, ma anche molto convinti. Eravamo persone più mature della nostra età anagrafica: l’esperienza della vita ci aveva fatto crescere anzitempo e le relazioni intessute all’interno del quartiere ci avevano consentito di accrescere enormemente il nostro patrimonio di conoscenza, informazione e consapevolezza.
Qualche altro ricordo?
Allora lavoravo nei pressi della ferrovia per segnalare eventuali bombardamenti ai treni.
Ho un ricordo molto vivo dei prigionieri italiani che venivano riuniti per essere tradotti in Germania ed erano ospitati nei carri piombati dei treni. Era uno spettacolo molto triste e commovente. I prigionieri erano spauriti e buttavano dei bigliettini da recapitare alle loro famiglie e ai loro cari. Ricordo anche un treno di miliziani fascisti fermo in stazione. Moltissimi soldati – arruolati senza convinzione o forzosamente – scapparono. Erano reparti della Divisione “Monte Rosa”.
Una volta alcuni soldati cecoslovacchi arruolati nella Wehrmatch mi chiesero dove era la Resistenza facendomi capire che avevano l’intenzione di fuggire; io indicai il tragitto che avrebbero dovuto percorrere per raggiungere le formazioni dei partigiani. Seppi poi che molti effettivamente disertarono per unirsi ai partigiani.
In un’altra occasione mentre facevo delle segnalazioni ai treni avvertii del rumore. Mi appiattii per terra e sentii la canna del fucile di un soldato tedesco sulla schiena che si era insospettito: era una ronda. Sono cose che ti restano dentro.
Qualche persona ti è rimasta particolarmente impressa?
Conobbi Dino Carta perché entrambi frequentavamo la scuola del Patronato Leone XIII; ricordo che giocava al calcio. Dino carta fu ucciso dai fascisti nel gennaio del 1945.
Vorrei poi ricordare con affetto il mio comandante diretto Domenico Galvanin, cattolico, tre anni più vecchio di me a cui ero molto legato, persona di formidabili doti organizzative e convinto antifascista. Fu catturato due volte e morì durante il trasferimento in Germania ucciso da una scheggia nel corso di un bombardamento alleato.
E dopo la guerra non ti sei certo risparmiato nell’impegno.
Dopo la guerra scelsi di militare nella gioventù comunista. Avevo amici cattolici e socialisti, ma scelsi – con molte incomprensioni – l’approdo comunista perché mi pareva la via migliore per difendere i diritti dei lavoratori. Lavorai nelle AIM prima come apprendista, poi come operaio specializzato e infine come tecnico. Per decenni mi impegnai nella CGIL e nel PCI, ma sempre mantenendo il mio lavoro perché il lavoro è condizione di libertà personale.
Poi venne il tempo delle grandi mostre…
Divenni un organizzatore culturale; avevo avuto esperienza di volantini e di grafici murali ed ero un appassionato di disegno. Amavo la storia e mi sentivo impegnato in politica. Ritenevo che fosse necessario smuovere le coscienze, spingere alla riflessione, formare le intelligenze, suscitare energie di rinnovamento. Mi misi dunque a organizzare mostre su vari argomenti: dalla Resistenza vicentina ai fratelli Rosselli, dalla guerra di Spagna e Garcia Lorca al nazismo. Ero agevolato dalla mia attitudine artistica e così elaborai centinaia e centinaia di pannelli mettendo a valore la conoscenza storica, le raccolte di giornali e riviste e gli approfondimenti tratti dalla mia ampia biblioteca.
E le esposizioni vennero fatte dove?
In moltissime località anche fuori Vicenza tra cui Livorno, Milano, Venezia, Perugia. Ero impegnato giorno e notte, studiavo molto, ma ritengo di avere sempre centrato l’obiettivo di costruire esposizioni complete e aggiornate nei contenuti. Ho sempre fatto lavori di grande qualità. Con le mostre sono riuscito a parlare alla coscienza delle persone.
Un’ultima domanda. Come vedi l’attuale situazione? La destra è al governo e quale dovrebbe essere il ruolo dell’ANPI?
Soffro che l’estrema destra governi il nostro Paese. La situazione attuale mi provoca un enorme dolore. In Italia si parla troppo poco del ruolo che la Resistenza ha avuto nella costruzione della nostra democrazia. L’ANPI dovrebbe diventare la scuola di conoscenza storica della Resistenza e occorre rievocare anche l’antifascismo durante il periodo cospirativo.
Bisogna analizzare la storia italiana e capire come mai dal Risorgimento che è stato un momento positivo di costruzione dell’unità nazionale si è transitati al fascismo. È necessario indagare sui fenomeni sociali che hanno dato origine al fascismo storico e analizzare la società italiana di oggi, cogliere le trasformazioni sociali e capire come mai forze di estrema destra hanno un consenso così elevato.
Vicenza è medaglia d’oro per meriti resistenziali. Occorre chiedersi perché anche da noi la Destra è così forte.
Ma da quali valori partire, da quali contenuti muovere?
La Costituzione è la nostra stella polare. I diritti costituzionali sono il programma di rinnovamento della politica. Occorre partire dalla Costituzione che è figlia della Resistenza al nazifascismo. Bisogna aumentare le nostre capacità culturali per conquistare le coscienze anche quelle borghesi, ma democratiche. Non possiamo perdere la barra. E’ necessario fare un grande lavoro culturale per far capire alla gente l’importanza della democrazia e fare un grande lavoro politico per attuare i valori costituzionali.