Angelina (Lina) Merlin
Fa parte della «Commissione dei 75». Il 10 maggio 1947 interviene sul testo originario dell’art. 33 (oggi 37) della Costituzione, a proposito di pari diritti e delle pari retribuzioni delle donne nel lavoro. Sostiene che lo Stato ha il dovere di garantire a tutti i cittadini il minimo necessario all’esistenza e di eliminare i problemi di ordine economico al fine di assicurare ad ogni individuo la possibilità di crearsi una famiglia. Lo Stato ha inoltre il dovere di tutelare la donna lavoratrice per consentirle di adempiere alla funzione sociale della maternità.
Angelina (Lina) Merlin
Fa parte della «Commissione dei 75». Il 10 maggio 1947 interviene sul testo originario dell’art. 33 (oggi 37) della Costituzione, a proposito di pari diritti e delle pari retribuzioni delle donne nel lavoro. Sostiene che lo Stato ha il dovere di garantire a tutti i cittadini il minimo necessario all’esistenza e di eliminare i problemi di ordine economico al fine di assicurare ad ogni individuo la possibilità di crearsi una famiglia. Lo Stato ha inoltre il dovere di tutelare la donna lavoratrice per consentirle di adempiere alla funzione sociale della maternità.
Nata in una famiglia numerosa della borghesia progressista (il padre era segretario comunale a Chioggia – dove Lina visse l’infanzia e la giovinezza – e la madre maestra), a vent’anni iniziò a lavorare come maestra a Padova e, anche se ben presto ottenne l’attestato che le avrebbe permesso di insegnare francese nelle scuole medie, scelse di continuare a lavorare nelle elementari, fino al 1926 quando – essendosi rifiutata di prestare giuramento al fascismo – fu estromessa dall’insegnamento.
Nel 1919 si iscrive al PSI, dove svolge attività propagandistica e giornalistica; collabora ai fogli «L’Eco dei Lavoratori» e «Difesa delle lavoratrici», di cui più tardi assume la direzione.
Nel 1924 collabora all’«Eco di Padova», sotto la direzione di Dante Galliani, e si occupa di tutti i settimanali di provincia.
Dopo le prime manifestazioni fasciste, lascia Padova per trasferirsi a Milano.
Nel 1926 viene arrestata e condannata dal Tribunale speciale a 5 anni di confino in Sardegna. Tornata libera nel 1930 grazie ad un’amnistia, torna a Padova dove subisce un altro arresto a scopo intimidatorio.
Nel 1933 sposa Dante Galliani, medico di Rovigo ed ex deputato socialista, che muore tre anni dopo. Si trasferisce quindi a Milano, dove partecipa alla lotta clandestina e organizza l’assistenza ai partigiani. La sua casa di via Catalani diventa luogo di incontro di dirigenti socialisti come Morandi, Pertini e Basso. Fa parte del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia (CLNAI).
Nel novembre 1943 rappresenta il Partito socialista nella fondazione dei Gruppi di difesa della donna (GDD), con l’obiettivo di mobilitare donne di diverse condizioni, età e situazioni sociali contro fascisti e tedeschi. Inizia a collaborare con la redazione dell’«Avanti!».
È tra le fondatrici dell’Unione donne italiane (UDI) insieme, tra le altre, a Laura Bianchini, Rina Picolato e Ada Gobetti.
Eletta all’Assemblea costituente, fa parte della «Commissione dei 75» che ha il compito di redigere il testo della carta fondamentale dello Stato repubblicano. Presenta una relazione sulle garanzie economiche e sociali per l’esistenza della famiglia, sottolineando che lo Stato ha il dovere di garantire a tutti i cittadini il minimo necessario all’esistenza e di eliminare i problemi di ordine economico al fine di assicurare ad ogni individuo la possibilità di crearsi una famiglia. Lo Stato, inoltre, secondo la Merlin, ha il dovere di tutelare la donna lavoratrice per consentirle di adempiere alla funzione sociale della maternità. Interviene anche nell’ambito della discussione sul diritto di proprietà e intrapresa economica dichiarando che la proprietà privata deve essere riconosciuta e garantita dallo Stato e deve essere accessibile a tutti i cittadini. Il 10 maggio 1947 – insieme a Teresa Mattei, Nilde Iotti, Rita Montagnana, Teresa Noce e Angela Minella – interviene sul testo originario dell’art. 33 (oggi 37) della Costituzione, a proposito di pari diritti e delle pari retribuzioni delle donne nel lavoro.
Viene eletta in Parlamento per 3 legislature e il 10 giugno 1948 Lina fu la prima donna a parlare in Senato.
Dal 1950 al 1963 ricopre la carica di vicepresidente del Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna (CIDD), costituito il 16 febbraio 1950 da Lina Merlin, insieme alle deputate democristiane Angela Guidi Cingolani, Maria Federici e Maria De Unterricher Jervolino, e altre. Questa associazione ha il duplice scopo di sostenere la proposta di legge della senatrice Merlin sull’abolizione delle ‘case chiuse’ e di dare vita ad una associazione volta ad aiutare tutte le donne che intendono lasciare la prostituzione.
A lei si deve appunto la legge n. 75/1958 sulla “chiusura delle case di tolleranza”. Durante la discussione della legge è vittima di un vero e proprio massacro giornalistico con attacchi ingiuriosi e pesanti sarcasmi espressioni dell’arretratezza culturale e del falso moralismo imperante nel Paese.
Nel giugno 1961 Merlin restituisce la tessera del partito, in dissenso la linea politica del PSI a suo parere troppo subordinata a quella del Partito Comunista.
Negli ultimi anni della sua vita continua ad interessarsi alle problematiche sociali. Nel 1974 assume la carica di vicepresidente del Comitato nazionale per il referendum sul divorzio, dichiarandosi a favore dell’indissolubilità del matrimonio.
Riposa nel famedio del Cimitero monumentale di Milano.
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