Come il cinema ha cercato di raccontare la Grande Guerra nella sua reale tragicità, oscurata dal mito e dalla retorica propagandistica
L’intento di questo lavoro è mostrare come il cinema, in particolare quello italiano e francese, dal primo dopoguerra a oggi abbia cercato di opporsi alla trasfigurazione propagandistica della prima guerra mondiale, di scalfire in qualche modo l’immaginario e il sentimento collettivo perpetuato e tramandato nel tempo.
Pochi anni dopo la fine della guerra in Francia, dove il cinema aveva sostenuto l’impegno bellico come nessun’altra cinematografia europea, uscivano i primi film di denuncia dell’immane carneficina in cui era precipitata l’Europa (J’accuse di Abel Gance nel 1919). Alla fine degli anni venti, di fronte ad un’Europa che sembrava aver perso la memoria della catastrofe accaduta e le pulsioni militariste per una nuova guerra che avrebbe dovuto eliminare definitivamente le tensioni scatenate dalla prima, venivano realizzati notevoli film dichiaratamente pacifisti e di rigorosa condanna della guerra. In Germania Västfronten 1918- Vier von der Infanterie di George W. Pabts nel 1930 e Niemandsland di Victor Trivas e George Shdanoff nel 1931. Negli Stati Uniti All Quiet on the Western Front (All’ovest niente di nuovo) di Lewis Milestone nel 1930, The man I Killed di Ernst Lubitsch e A Farewell to Arms (Addio alle armi) di Frank Borzage entrambi nel 1932. In Francia nel 1928 Le film de Poilu di Henri Desfontaines e Le croix de Bois di Raymond Bernard nel 1932, La grand Illusion (La grande illusione) di Jean Renoir nel 1938 e una nuova versione, sempre nel 1938, di J’accuse di Abel Gance, rielaborata con stile apocalittico per denunciare il pericolo delle politiche di riarmo degli stati europei.
Per il cinema italiano non fu possibile raccontare la Grande Guerra con occhio critico poiché il fascismo si era impossessato subito del mito della Grande Guerra, trasformandolo in proprio mito fondativo per cui il movimento si presentava agli italiani come il legittimo erede del Risorgimento e dell’Italia di Vittorio Veneto. Non solo il fascismo impedì qualsiasi rappresentazione della Grande Guerra che non rispondesse alla visione di una guerra di eroi e di potenza dell’Italia, ma proibì la circolazione dei film contro il bellicismo che in Italia fu possibile vedere solo dopo il 1946, anche se con numerosi tagli imposti dalla censura (come in Addio alle armi per tutte le parti che riguardavano l’Esercito Italiano). Occorreranno oltre quarant’anni perché il cinema italiano, sfidando divieti e censure, affrontasse in termini antieroici il conflitto con La Grande Guerra di Mario Monicelli del 1959, una lettura che anticipava il nuovo approccio storiografico alla Prima Guerra Mondiale che avrebbe cominciato ad affermarsi solo negli anni settanta del novecento.
Ancora oggi il cinema, in particolare quello che rifiuta di adottare la retorica patriottica e il racconto della Grande Guerra come guerra indispensabile per la difesa della patria, deve confrontarsi con il suo mito sacralizzato. Un mito costruito dall’uso politico della storia, dalla letteratura e dalla memorialistica colta, dall’elaborazione pubblica del lutto, dalle cerimonie commemorative, dalla monumentalità e – in occasione del centenario – banalizzato da improprie manifestazioni gastronomiche nelle trincee, di sport agonistico sui sentieri della Strafexpedition e irriverenti rievocazioni in costume.
Proprio nell’anno del centenario dello scoppio della Grande Guerra Ermanno Olmi con torneranno i prati ha realizzato un film lontanissimo da ogni intento celebrativo e commemorativo, un’opera dove predominano la smisurata e bestiale sofferenza degli uomini in armi e lo sforzo per conservare la coscienza individuale di fronte al suo annullamento nella guerra di massa. Contro la “smemoratezza che diventa sonnolenza” Olmi non ha esitato a richiamarci senza alcuna ritrosia o inutili giri di parole:
“Fanfare, bandiere, discorsi per accompagnare il Centenario, ma prima va sciolto un nodo, altrimenti l’ipocrisia diviene vigliaccheria: la celebrazione deve essere per noi motivo di chiedere scusa a quei giovani morti senza sapere perché”
Durante il conflitto mondiale e negli anni seguenti agli italiani è stata raccontata una guerra fantasiosa, epica, eroica, edulcorata della sua brutalità e violenza, narrata dal cinema di propaganda, dai bollettini militari, dai corrispondenti di guerra e dalle immagini a grande diffusione popolare.
Per illustrare la distanza tra la realtà distruttiva e sconvolgente di una guerra moderna e questa guerra immaginaria sono poste a confronto scene tratte da quei film che hanno voluto rappresentare la reale natura di un conflitto che esigeva un continuo rifornimento di soldati per condurre le tattiche suicide dei ripetuti e improduttivi assalti, uomini di cui era necessario ottenere la cieca obbedienza con qualsiasi mezzo.
I principali temi affrontati durante l’esposizione sono:
- Il consenso e l’entusiasmo diffuso in Europa a una guerra da tutti ritenuta di breve durata e da concludersi già nel Natale del 1914
- la guerra immaginata dalle caratteristiche ottocentesche, fatta di eroiche cavalcate e di poche e rapide battaglie e la realtà della guerra di massa, totale, tecnologica e organizzata a livello industriale
- l’annullamento della persona e la sua regressione a uno stato animale dovuti alla lunga permanenza nelle trincee e nelle caverne fangose
- l’impatto delle nuove armi tecnologiche sul fisico e sulla psiche dei combattenti
- il dispotismo dei vertici militari e la violenza della guerra generatrici del fascismo in Italia.
I film da cui sono tratte le scene più rappresentative sono:
o Les croix de bois di Raymond Bernard, Francia 1932
o La Grande Guerra di Mario Monicelli, Italia/Francia 1959
o Uomini contro di Francesco Rosi, Italia/Jugoslavia 1970
o La sciantosa di Alfredo Giannetti, Italia 1971
o Gallipoli (Gli anni spezzati) di Peter Weir, Australia 1981
o Le pantalon di Yves Boisset, Francia 1997
o La chambre des officiers di François Dupeyron, Francia 2001
o Un long dimanche de fiançailles (Una lunga domenica di passioni) di Jean-Pierre Jeunet, Francia 2004
o Joyeux Noël (Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia) di Christian Carion, Francia/Germania/Regno Unito/ Belgio/Romania, 2005
o Vincere di Marco Bellocchio, Italia/Francia 2009
o War Horse di Steven Spielberg, Stati Uniti 2012
Scelta delle immagini e commento: Elvio Bissoli
Ricerche iconografiche: Marco Marcante
Montaggio audio e video: Irene Maria Bissoli e Gianni Marcante.
dDurata: 80 min.
La Guerra Immaginaria e la Realtà del Cinema è un progetto dello SPI CGIL di Vicenza e dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Vicenza “Ettore Gallo”.
Per una trattazione più ampia si rinvia a Elvio Bissoli, La Grande Guerra e il cinema italiano e francese, nei quaderni del Laboratorio di storia contemporanea dell’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Vicenza, consultabile e scaricabile online in: https://www.istrevi.it/laboratorio-di-storia