Nella chiesa di Dueville molte erano le bandiere delle Sezioni ANPI che il 18 marzo 2013 hanno portato l’ultimo saluto all’amica e compagna Domitilla Urbani “Doremì”.
Dopo la cerimonia religiosa ha preso la parola il vicepresidente dell’ANPI provinciale per ricordare la partigiana e per manifestare cordoglio e partecipazione ai figli Pierluigi con Giusi, Alessandra con Mario, Maria Cristina, Fabrizio con Alessandra, ai nipoti, alla sorella, ai fratelli e tutti i parenti.
«La staffetta, a 14 anni, – sono parole di Domitilla – l’ho fatta pervasa dalla convinzione di fare qualcosa di giusto e di importante. Quindi con grande impegno e grande senso di responsabilità. E aggiungo che lo spirito che c’era nella Resistenza è stato qualcosa di unico, di meraviglioso.»
Da queste affermazioni si capisce che l’adesione di Domitilla alla lotta per la liberazione del nostro Paese dal fascismo e dal nazismo era stata piena ed entusiasta fin dall’inizio, da quando cioè aveva tredici anni.
Grande ruolo ebbe in questa sua scelta la famiglia che allora risiedeva a Canove, sull’Altopiano, ove il padre, Alessandro, svolgeva l’incarico di medico condotto. Domitilla era la quinta di dieci tra fratelli e sorelle. Furono i due maggiori, Francesco e Antonio, allora studenti al Liceo Pigafetta di Vicenza, a portare in casa le idee di libertà trasmesse dal loro professore di filosofia Mario Dal Prà. Idee che hanno dovuto fare i conti con i fatti, quando la Repubblica di Salò chiamò i giovani alle armi. I due fratelli rifiutarono e quindi scelsero la latitanza, d’accordo con i famigliari. Ben presto la latitanza si trasformò in vera e propria Resistenza armata nelle formazioni dell’Altopiano: Francesco divenne il partigiano “Pat” e Antonio prese il nome di battaglia “Gatto”.
Intanto le squadre fasciste e tedesche, sguinzagliate alla ricerca dei due fratelli, sottoponevano la famiglia a vessazioni sempre più dure. Il padre e la madre vennero più volte arrestati e portati per alcuni giorni nelle carceri di Asiago. La terzogenita Luisa vi fu rinchiusa per quaranta giorni, riuscendo poi a fuggire. Così divenne anch’essa partigiana e assunse il nome di “Juna”. Anche il quarto fratello Pier Luigi che non aveva ancora sedici anni, si unì ai partigiani con il nome di “Pippi”. Durante il sanguinoso rastrellamento del settembre 1944, tutti e quattro i fratelli erano a Granezza. Si salvarono, ma alla loro famiglia arrivarono perquisizioni sempre più insistenti.
Domitilla era lì a condividere le scelte dei fratelli maggiori, a sostenere i genitori e ad aiutarli nel proteggere i fratellini. Nell’ottobre 1944, durante un’ennesima incursione, i famigliari vennero letteralmente terrorizzati e la loro casa pesantemente devastata.
Ormai la misura era colma e allora il dr. Alessandro lasciò l’incarico, lo stipendio e l’Altopiano e si trasferì a Madonna di Lonigo, ospite di parenti. Lì furono raggiunti da Antonio e da Pier Luigi, mentre Francesco “Pat” rimase a combattere sull’Altopiano nella brigata “7 Comuni” e Luisa “Juna” si spostò a Marola di Chiuppano dove entrò nella “Mameli” guidata dal partigiano “Riccardo”, Roberto Vedovello, che diverrà poi suo marito.
A Lonigo e nei dintorni operava la brigata garibaldina “Martiri di Grancona”, guidata da Alberto Sartori “Carlo”. “Gatto” vi prese contatto. Domitilla, quattordicenne, decise allora di fare anche lei la sua parte. Divenne la staffetta “Doremì”, al serizio proprio del comandante “Carlo”. Andava in bicicletta portanto messaggi, che nascondeva solitamente sotto il sellino, girando per la zona di Lonigo e spostandosi spesso anche nel Thienese. Tutti gli spostamen-ti, anche i più brevi, erano sempre rischiosi, ma erano indispensabili per i collegamenti tra le varie pattuglie, per portare gli ordini e per trasportare materiale.
Il suo apporto alla Resistenza non fu di poco conto se, dopo la Liberazione, il commissario della brigata, Ugo Baschirotto “Tomis”, le rilasciò un foglio nel quale la qualificava come Partigiana Combattente.
“Ma non sono mai stata combattente” obiettò allora Domitilla.
“Ma hai fatto più cose di un partigiano!” – rispose Tomis.
Non solo, ma a lei fu anche concessa la Croce al Merito di Guerra.
Questo dimostra il valore di Domitilla che è stata una tessera lucente e preziosa nel grande mosaico di libertà, di giustizia e di democrazia che la nostra nazione ha ereditato dalla Resistenza. Valori che Domitilla ha poi professato per tutta la vita con forza, coerenza e passione
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