Presentazione del libro
Il nemico di Mussolini. Giacomo Matteotti storia di un eroe dimenticato
Venerdì 12 aprile 2024 alle ore 17.30
in Sala Stucchi a Palazzo Trissino
Corso Palladio, 98 a Vicenza
Introduce
- Luigi Poletto, Presidente Anpi Sezione “Nello Boscagli” Vicenza
Relatore
- Stefano Caretti, storico e autore del libro
Ringrazio innanzitutto l’Amministrazione comunale e ovviamente ringrazio il prof. Stefano Caretti, autore con Marzio Breda del bellissimo libro “Il nemico di Mussolini. Giacomo Matteotti storia di un eroe dimenticato” in vendita qui dietro nell’antisala. Stefano Caretti, già ordinario di storia contemporanea è uno dei massimi esperti di Giacomo Matteotti di cui ha curato le Opere complete. Ha ruoli di responsabilità nella Fondazione Filippo Turati e nell’Associazione Sandro Pertini. E’ autore di molti studi su figure e vicende del socialismo italiano.
Devo dire che ho trovato il titolo estremamente azzeccato per due motivi:
La prima ragione attiene al ricorso all’aggettivo “dimenticato”. E’ sicuramente vero che la figura di Matteotti è stata cristallizzata nell’archetipo vittimario dell’oppositore irriducibile del fascismo ed è stata proiettata in una dimensione metastorica e mitopoietica che ne ha oscurato i contenuti politici qualificanti. Inoltre Matteotti è stato rimosso dalla cultura politica del Paese da una parte della sinistra italiana, diffidente verso il riformismo socialista dalla scissione di Livorno in poi.
Il secondo motivo riguarda l’impiego del sostantivo “eroe”. Non possono sfuggire i rischi di letture agiografiche e monumentalizzanti; però la famosa espressione di Bertolt Brecht nella “Vita di Galileo” “Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi” dice la verità, ma non tutta la verità. Perché in un Paese desertificato di valori e in cui si consumano diuturnamente tentativi di azzerare la memoria e di riabilitare il fascismo è del tutto necessario capovolgere il concetto e dire “Maledetto il Paese che non riconosce i propri eroi” perché l’oblio della storia, dei suoi protagonisti e di chi fece la scelta giusta non può che generare disastri culturali e politici.
Matteotti mal si presta ad essere ingessato in un’unica categoria ermeneutica, fors’anche quella dell’intransigenza antifascista. Approfondire la figura di Matteotti rappresenta un viaggio alla scoperta di una personalità umana e politica estremamente complessa. Di Matteotti ne individuo cinque, omettendo un sesto Matteotti quello innamorato della moglie Velia Titta. Del loro rapporto d’amore, contrastato dalle circostanze, rimane un bellissimo e struggente carteggio.
In primo luogo vi è il Matteotti studioso del diritto penale e uomo di cultura. Matteotti rinuncia alla vita accademica per la passione politica, ma gli rimarrà sempre se non un rimpianto, sicuramente la consapevolezza di una incompiutezza, di una criticità irrisolta nel rapporto tra scienza ed azione. La produzione scientifica nella materia penalistica di Giacomo
Matteotti è contenuta, ma di qualità, tale da ricevere l’apprezzamento di illustri giuristi che ne stimano la correttezza metodologica, la lucidità delle analisi e la robustezza dell’impianto dottrinario.
Matteotti è peraltro uomo di grande curiosità intellettuale, appassionato di narrativa italiana e straniera, antica e moderna, frequentatore di musei, di esposizioni artistiche e di teatri, amante della prosa e dell’opera. Quindi la personalità di Matteotti, pur inflessibile nelle convinzioni e avvinto ad un’etica personale rigorosissima, si espande nella bellezza della vita e da questa trae gioia e senso.
In secondo luogo vi è il Matteotti pacifista e neutralista. Già nel 1912 si dichiara contrario alla guerra in Libia e con lo scoppio del primo conflitto mondiale si oppone frontalmente ad ogni tipo di nazionalismo, alle suggestioni dannunziane, all’interventismo ivi compreso quello di sinistra.
Matteotti è in questo periodo solo un esponente periferico del Partito socialista, ma non manca di chiedere la mobilitazione insurrezionale contro la guerra di tutti i lavoratori dalle pagine de “La Lotta”, organo dei socialisti di Rovigo e in numerosi consigli comunali.
In un’Europa in cui le formazioni socialiste votano i crediti di guerra, la sua è un’avversione incondizionata alla guerra in nome della fraternità universale. Matteotti argomenta la necessità della neutralità assoluta e formula la profezia di un conflitto non breve e vittorioso, ma interminabile e distruttivo. Pronuncia infuocati discorsi neutralisti nel Consiglio Provinciale di Rovigo. Chiamato alle armi, paga la sua coerenza con una sorta di lungo confino militare in Sicilia. Dalle pagine di “Critica sociale” contesta la timidezza della linea ufficiale socialista “né aderire, né sabotare” e, dopo Caporetto, dissente dal ripiegamento patriottico di Turati e Treves.
Nel dopoguerra, diventato deputato, Matteotti si interessa di politica estera e in numerosi incontri internazionali con altri partiti socialisti – spinto da una straordinaria capacità di visione – argomenta la necessità di alleggerire le clausole economiche e politiche del Trattato di Versailles perché vessatorie nei confronti della Germania e quindi tali da alimentarne il desiderio di rivincita e da creare le condizioni per un nuovo conflitto mondiale. Il suo socialismo internazionalista arriva a prefigurare la costituzione degli Stati Uniti d’Europa quale antidoto ad ogni impulso nazionalista e bellicista.
Il terzo Matteotti è quello socialista e riformista. In un’epoca in cui le masse entrano nella storia, Matteotti ritiene che al proletariato competa la funzione di guidare il processo di trasformazione globale all’insegna della giustizia sociale.
Ma Matteotti è un riformista contrario a rotture rivoluzionarie e legato ad un progetto di ampliamento dei diritti politici e sociali. Per lui il socialismo ha un contenuto etico di civilizzazione per cui nessuna trasformazione radicale degli assetti economico-sociali è possibile senza un cambiamento delle coscienze e senza un aumento della partecipazione popolare. Come ha giustamente sottolineato Maurizio Degl’Innocenti, Matteotti ritiene prioritari l’azione educativa, il processo pedagogico e la costruzione del “socialismo dentro di noi”.
Matteotti ha un approccio gradualista. Ritiene che l’emancipazione non sia connessa ad interventi dall’alto, ma ad un pervicace impegno quotidiano e alle competenze acquisite. Politico del territorio, è fautore di una democrazia dal basso: per Matteotti i nuclei di base della nuova società sono il Comune (perché nell’amministrare le autonomie locali i socialisti anticipano gli ideali di solidarietà della società futura), la scuola (per la formazione delle coscienze), la lega (motore dell’emancipazione dallo sfruttamento dei braccianti del suo Polesine), la cooperativa (in quanto strumento di integrazione dell’azione sindacale).
Matteotti contesta la predicazione dell’inevitabile crollo del capitalismo e il velleitarismo rivoluzionario della maggioranza massimalista del Partito, intuisce il tralignamento autocratico della dittatura del proletariato realizzata dal bolscevismo sovietico, rifiuta ogni mito legato all’impiego della violenza ed è netto nel tematizzare il nesso tra socialismo e libertà. E’ convinto che le istituzioni democratiche e rappresentative consentono di perseguire una politica di emancipazione dei lavoratori e quindi vanno difese ad oltranza anche al prezzo di ricercare intese con i segmenti più avanzati della borghesia: è, questa, una posizione antitetica a quella di massimalisti e comunisti detrattori della democrazia borghese e parlamentare e persuasi della natura effimera del fascismo.
Gradualista nel metodo, Matteotti rimane rivoluzionario nei fini. Tra le sue grandi conquiste vi è il c.d. “Patto Matteotti-Parini” cioè l’accordo stipulato per l’annata agricola 1920-1921 tra la locale Camera del lavoro e l’Agraria i cui contenuti sono potentemente innovativi: giornata lavorativa di otto ore, consistenti aumenti salariali, camera arbitrale per le controversie, ufficio di collocamento gestito dalle leghe e imponibile di manodopera contro la disoccupazione stagionale.
Sul quarto Matteotti, quello parlamentare, basti dire che alla Camera dei deputati, dove entra nel novembre 1919, è attivissimo: partecipa diligente alle riunioni di aula e di commissione e i suoi interventi sono precisi e incalzanti. Non si sottrae mai al contraddittorio diretto e dimostra una straordinaria competenza in materia economico-finanziaria in un partito in cui l’escatologia rivoluzionaria spesso impedisce di presentare soluzioni concrete e praticabili.
Infine il Matteotti più noto: l’antifascista integrale. Matteotti più volte interviene in Parlamento per denunciare il dilagare delle violenze fasciste nel Polesine e in Emilia e Romagna, denuncia la complicità del ceto politico liberale, individua negli agrari il principale sostegno allo squadrismo. Matteotti si batte per un governo antifascista inclusivo di socialisti, liberaldemocratici e popolari ed è proprio con l’accusa di collaborazionismo che la maggioranza massimalista ad inizio ottobre 1922 espelle dal Partito i riformisti di Turati, Treves e Matteotti.
Da Segretario del nuovo Partito Socialista Unitario Matteotti rilancia la sua drastica opposizione al fascismo: nell’opuscolo “Un anno di dominazione fascista” denuncia sia le illegalità fasciste sia il fallimento del governo Mussolini sotto il profilo economico-finanziario e sociale.
Matteotti comprende che solo la democrazia può dare agibilità al progetto egualitario socialista. E’ per questo che Matteotti difende con accanimento senza pari la democrazia e la legalità; è per questo che Matteotti è l’assertore di una resistenza senza limiti al fascismo. Il discorso del 30 maggio 1924 è la premessa del delitto di Stato.
Un ultimo pensiero. Il sacrificio di Matteotti ci dice alcune cose nella vicenda politica odierna in questa fase storica. Il fascismo non è scomparso dall’Europa occidentale con la cesura epocale del 1945, ma ha saputo rigenerarsi assumendo nuove forme e adattandosi alle trasformazioni sociali e ai cambiamenti della politica. Alcuni tratti distintivi del fascismo come storicamente si è espresso possono essere individuati nel postfascismo attuale e nei partiti di destra del continente europeo: il nazionalismo, il populismo, l’antiegualitarismo, l’enfatizzazione del principio gerarchico, la strumentalizzazione e la riscrittura della storia, la disattenzione verso i diritti civili, la xenofobia, il rifiuto di una società multietnica e multiculturale.
Il rischio è di un lento scivolamento – come è avvenuto in molti paesi dell’Europa orientale – verso forme di “democrature” cioè modelli ibridi di democrazia e dittatura e il rischio è di una negazione dei contenuti sociali della democrazia e del carattere aperto, inclusivo e accogliente dellecomunità.
Ciò rende la figura di Matteotti straordinariamente attuale e viva: “Il ventre che ha partorito il fascismo è sempre gravido” scrisse Gina Lagorio. Un ammonimento da tenere saldo nel cuore.
Luigi Poletto
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