Giuseppe Casarotto ci ha inviato questo scritto in onore del padre Spartaco, che fu uno dei 600.000 internati militari italiani:
Vorrei ricordare mio padre Spartaco, internato nei campi di concentramento del Terzo Reich. All’indomani dell’armistizio molti soldati e ufficiali optarono per una «resistenza disarmata, ma non inerme e inefficace» e accettarono l’idea di sopportare fame, privazioni e vessazioni per mantenere intatta la propria dignità di uomini e di militari. Nei
diario mio padre annota il travaglio di quel periodo (i ricordi erano fame e freddo).
Dal diario di Spartaco Casarotto IMI 101152 (di prossima pubblicazione)
6/11/43 il NO a Salò
Il treno ha corso quasi tutta la notte. All’alba stiamo percorrendo una grande landa
fredda e incolta. Oggi fa molto freddo, ora sono le 11 e la brina non s’è ancora sciolta. Anche
ora è suonato l’allarme aereo e noi siamo sempre chiusi nel vagone da fuori. Alle 16 arriviamo nella cittadina di Meppen nei cui dintorni c’è il grande campo di concentramento e smistamento.
Da due giorni non ci danno nulla da mangiare, piove ed in queste condizioni, con lo zaino semi vuoto, dobbiamo fare più di 12 km a piedi. Sono arrivato al campo stremato, non pensavo di farcela, moltissimi sono caduti. Ci hanno subito inquadrati all’interno dei reticolati e un ufficiale tedesco, tramite un interprete, ci dice che in Italia, Mussolini è stato liberato dai tedeschi ed ha formato la Repubblica di Salò, perciò chi vuole andare in Italia a combattere viene liberato subito, trattato bene e dopo un breve periodo d’istruzione in Germania, viene mandato a casa in licenza per presentarsi poi sotto la Repubblica. Sono parole lusinghiere, ma non hanno scelto il momento adatto, nessuno si fa avanti e siamo più di mille uomini.
I tedeschi sono rimasti male, non si aspettavano questa dimostrazione, loro sono ancora convinti di vincere la guerra.
8/11/43 inizia il Lager
In questa baracca siamo circa 500, molto stretti, ma riposiamo lo stesso perchè siamo ancora molto stanchi per il viaggio; il problema è che di notte al buio, per andare alla ritirata si calpesta per forza qualcuno, allora sono grida e parolacce.
Dicono che ci lasceranno solamente una coperta, così stamattina ne ho tagliata una e mi sono fatto un sottocappotto, perchè la brutta stagione qui non sarà molto piacevole. Ci hanno fatto la rivista e a me non hanno levato molto: una tuta blu da meccanico, il telo da tenda, la borraccia e 250 kune. Siamo passati poi per la immatricolazione, a me hanno dato il n. IMI 101.152 Stalag VI° C da oggi questo sarà il mio nome.
“ Non abbiamo vissuto come i bruti.
Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti.
Non abbiamo mai dimenticato di essere uomini civili, uomini con un passato e un avvenire.
Ognuno si trovò improvvisamente nudo: tutto fu lasciato fuori da reticolato e ognuno si ritrovò soltanto con le cose che aveva dentro. Con la sua effettiva ricchezza o con la sua effettiva povertà.
E ognuno diede quello che aveva dentro e che poteva dare, e così naque un mondo dove ognuno era stimato per quello che valeva e dove ognuno contava per uno.
Fummo peggio che abbandonati, ma questo non bastò a renderci dei bruti: con niente ricostruimmo la nostra civiltà.Sorsero i giornali parlati, le assemblee, la chiesa, il teatro, i concerti, lo sport, l’artigianato, i servizi, gli annunci economici,la biblioteca, il centro radio, il
commercio …
Non abbiamo vissuto come bruti: costruimmo noi, con niente, la Città Democratica.
E se, ancora oggi, molti dei ritornati guardano sgomenti la vita di tutti i giorni tenendosene al margine, è perchè l’immagine che essi si erano fatti, nel Lager, della Democrazia, risulta
spaventosamente diversa da questa finta democrazia che ha per centro sempre la stessa logica degli intrighi…”
dall’introduzione “DIARIO CLANDESTINO 43-45” Guareschi G.
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