Giancarlo Zorzanello ha scritto un articolo sulla liberazione del vicentino durante la fine di aprile e l’inizio di maggio del 1945:
Era un mercoledì e la giornata si presentava piuttosto piovigginosa, però, nonostante questo giorno sia ricordato come quella della liberzione dal nazifascismo,nel vicentino non successe nulla di particolare. La provincia era infatti ampiamente e sistematicamente presidiata sia dalla Wehrmacht sia dalle milizie armate della RSI. Basti pensare che a Recoaro era dislocato il Quartier Generale delle Armate tedesche in Italia; a Valdagno aveva trovato sistemazione l’OVRA, la polizia segreta di Mussolini con il suo Archivio e il suo seguito di agenti e di spie; che sempre a Valdagno aveva sede il Gruppo Gamma della Decima Mas; che Montecchio Maggiore ospitava il Sottosegretariato alla Marina della RSI con un presidio di circa duecentocinquanta marinai e marò; che a Thiene era dislocata un’ intera divisione della Decima Mas agli ordini del generale Giuseppe Corrado; che a Bassano vi era una battaglione della Divisione alpina Monte Rosa, una delle quattro che erano state addestrate in Germania. Per di più con l’avanzare degli eserciti alleati lungo la penisola trovarono sistemazione nel vicentino le formazioni fasciste che si erano distinte nella lotta contro le brigate partigiane in Emilia Romagna e Toscana. A Padova e a Vicenza si era installata la Banda del maggiore Carità, famosa per le torture ai partigiani e ai patrioti, a Vicenza si sistemò la Brigata nera di Bologna, ad Arzignano/Tezze la XXIX Brigata nera di Faenza, a Thiene la Brigata Nera di Forlì.
Si può dire senza tema di esagerare che alla data del 25 aprile 1945 il vicentino era una delle province italiane con maggiore densità di truppe nazifasciste a presidio del territorio.
Certo, le conseguenze dell’offensiva alleata scatenata il 9 aprile 1945 e che aveva scardinato la Linea Gotica e costretto i tedeschi a ritirarsi oltre il Po, si potevano notare sulle strade del Veneto. Colonne di soldati tedeschi, laceri, affamati, demoralizzati cercavano un mezzo qualsiasi di trasporto e la via più breve per raggiungere la Germania. Però contemporaneamente passavano anche colonne di soldati tedeschi perfettamente equipaggiate ed organizzate e che sapevano esattamente quali erano le nuove posizioni che dovevano occupare e difendere. In ogni caso quel 25aprile del 45 nessuno sano di mente poteva nutrire dubbi sul fatto che la Germania avesse perso la guerra. Però, é anche da aggiungere che nessuno poteva prevedere come la guerra sarebbe terminata e nemmeno quando. Qualche giorno prima, infatti, il comandante delle armate tedesche in Italia il generale Heinrich von Vietinghoff aveva ordinato alle truppe il ripiegamento sulla linea dell’Alpenforstellung che correva a nord di Brescia-Verona-Vicenza.
L’Alpenforstellung (o ridotto alpino) occupava parte delle Alpi orientali italiane e di quelle meridionali austriache. Secondo il generale von Vietinghoff era una fortezza ben costruita e proporzionatamente di limitata estensione. Inoltre, sempre secondo il generale, le migliori e più coriacee truppe, le divisioni paracadutiste e quelle corazzate Panzer- Granadiere possedevano ancora consistenti capacità di combattimento per difendelo. Una battaglia disperata nelle Alpi sarebbe costato ancora tempo e sangue agli Alleati. Il feldmaresciallo Alexander, comandante delle truppe alleate in Italia, aveva previsto almeno due mesi di combattimento.
Che cosa fece fallire quel piano che prevedeva l’ultima resistenza tedesca sull’Alpenforstellung, dove non era escluso che perfino Hitler volesse trovare l’ultimo rifugio, con conseguenza facilmente immaginabili per i nostri paesi?
Secondo le ultime ricerche storiche 2 circostanze e cioé: 1) il comportamento incerto e contraddittorio del Comando delle truppe tedesche in Italia; 2) e anche, l’azione decisa efficace e tempestiva delle formazioni partigiane. Su queste due cause ci soffermeremo brevemente a continuazione per capire come avvenne la liberazione nella nostra provincia.
Il Comando delle truppe tedesche in Italia fin dal gennaio del ’45 si rese conto che non vi era nessuna possibilità di finire la guerra con successo e che perciò l’unica strada da percorrere era quella di trattare con gli Alleati una resa onorevole. I contatti erano iniziati in Svizzera giá alla fine del 44 per mezzo di intermediari e sotto la regia del comandante delle SS in Italia generale Karl Wolff. Purtroppo le trattative andarono per le lunghe, anche perchéWolff, scoperto, fu convocato a Berlino da Himmler e costretto a giustificarsi. Inoltre il generale Heinrich von Vietinghoff che nel marzo del ’45 aveva sostituito Kesselring nel comando delle truppe tedesche in Italia, si era mostrato incerto e poco convinto dell’iniziativa. Si arrivava così al 20 aprile del 1945.
«Verso le ore 10» riporta una relazione del Comando tedesco «avvenne un pesante bombardamento del Quartiere Generale di Recoaro. I bombardieri americani stesero un tappeto di bombe direttamente sugli edifici del Comando (….) Vi furono vent’otto tra morti e feriti.» Era un chiaro avvertimento degli Alleati sull’urgenza di riprendere le trattative ed arrivare a risultati conclusivi. Così infatti fu interpretato il bombardamento da parte del Comando tedesco. Due giorni dopo infatti, il 22 aprile 45, si riuniscono, sempre a Recoaro, i massimi responsabili militari e politici del Comando di occupazione tedesca in Italia: il generale Heinrich von Vietinghoff e il suo Stato Maggiore, il generale Wolff, comandante delle SS in Italia, l’ambasciatore presso la RSI Rudolf Rahn, il Gauleiter del Tirolo Franz Hofer. Ancora speravano in una resa condizionata. Tra l’altro il Gauleiter Hofer pone come condizione per la resa lo status quo per il Tirolo, possibilmente sotto la sua guida, fino alle decisioni della Conferenza di pace. Il che significava lasciare sotto il suo controllo anche le province di Trento, Bolzano e Belluno: pretesa ritenuta eccessiva anche dagli altri gerarchi tedeschi presenti a Recoaro.
In ogni caso il 22 aprile partono da Recoaro il colonnello von Swienitz e il gruppenführer SS Wener con le credenziali firmate per la resa. Purtroppo il tragitto da Recoaro a Caserta, sede del Quartier Generale alleato, attraverso la Svizzera, non era né semplice, né agevole, né corto. I plenipotenziari tedeschi raggiungono la destinazione il
28 aprile, cioè sei giorni dopo la partenza da Recoaro e firmano una resa senza condizioni il 29 aprile alle ore 14,00 che prevedeva la cessazione delle ostilità il 2 maggio alle ore 14,00. Prevedeva peró anche la ratifica del generale von Vietinghoff, non essendo state accettate dagli Alleati nessuna delle condizioni elaborate a Recoaro il 22 aprile. Quando però l’1 maggio i plenipotenziari tedeschi raggiungono Bolzano, dove nel frattempo si era trasferito da Recoaro il Quartier Generale delle truppe tedesche in Italia, per far firmare la resa, la situazione è del tutto cambiata. Il comandante delle Armate tedesche del Sud, generale Kesselring, da cui dipendevano anche le armate dislocate in Italia, venuto a conoscenza delle trattative di resa, destituisce il generale von Vietinghoff e il suo capo di Stato Maggiore generale Rottinger, sostituendoli con i generali Schultz e Wenzel, chenaturalmente non vogliono nemmeno sentire parlare di ratificare la resa senza condizioni firmata a Caserta. Per più di 24 ore nel Quartier Generale di Bolzano vi è uno scontro molto duro tra ufficiali che vogliono mantenersi fedeli fino alla fine a Kesselring, e perciò a Hitler, e coloro che vogliono ratificare la resa di Caserta prima del 2 maggio, come richiesto dagli Alleati. Fortunatamente alle ore 23,00 dell’1 maggio arriva la notizia della morte di Hitler e così il Generale von Vietinghoff, reintegrato nel suo comando, il 2 maggio ’45 ratifica la resa di Caserta, determinando la fine delle ostilità in Italia.
Ci siamo soffermati abbastanza dettagliatamente sulle indecisioni e sui contrasti del Comando tedesco dal 22 aprile al 2 maggio perché: 1º – i fatti sono ancora poco conosciuti, dato che solo ultimamente (storicamenteparlando) sono state tradotte e pubblicate le memorie del Generale von Vietinghoff e del suo Capo di Stato Maggiore generale Rottinger; 2º – : perché sono fatti che accaddero in gran parte nelle nostre zone; 3º: per capire la sensazione d‘incertezza, instabilità, confusione che si diffuse tra le truppe tedesche, quando, ritiratesi dal Po, tentarono di prendere posizione e di resistere nell’Alpenforstellung. Proprio in questa delicata transizione furono attaccate, perseguite, molestate con tutti i mezzi e tutti i modi dalle formazioni partigiane, dalla popolazione e perfino da alcune formazioni della Rsi, leste nel cambiare schieramento prima che fosse troppo tardi.
Dal canto loro le formazioni partigiane del Veneto vennero a conoscenza che il Corpo Volontari della Libertà aveva proclamato l’insurrezione nazionale alle ore 8 del 26 aprile per mezzo di radio Milano: «in queste ore il mondo vi guarda» diceva il suo bollettino «nel nome dei nostri martiri date prova del vostro valore e dimostrate di essere degni della libertà per la quale avete tanto combattuto e sofferto.»
Da quel momento le truppe tedesche e fasciste sia in ritirata dal Po sia di presidio nella regione non ebbero un momento di pace e non furono più al sicuro in nessun luogo del Veneto. Particolarmente attive e combattive furono le formazioni partigiane di montagna, del resto rifornite di armi ed esplosivi dagli Alleati nei giorni precedenti il 25 aprile, dato che ben conoscevano i piani dei tedeschi di resistere nell’Alpenforstellung.
Il primo presidio tedesco, secondo le nostre ricerche, ad arrendersi ai partigiani del Veneto fu quello di San Giovanni Ilarione. Nelle notte tra il 25 e il 26 aprile i partigiani dei Battaglioni Gian Della Bona e Perseo della Brigata Stella scesero dai monti in paese con l’intenzione di vendicare due loro compagni uccisi dai tedeschi in contrada Fusa. Circondarono le scuole elementari, dove era installato il presidio tedesco composto da una cinquantina di soldati agli ordini di un Maggiore. Aprirono un fuoco infernale, appoggiato anche da colpi di bazooka. E verso le tre del mattino il presidio si arrendeva.
Anche il presidio di Valdagno composto da più di trecento soldati non esisteva più verso alle tre del pomeriggio del 26 aprile. Quasi sicuramente però, in questo caso,
intervenne la mediazione del vicecomandante della Polizia della Rsi, Guido Leto, che aveva il suo Quartier generale proprio a Valdagno, quanto mai attento a saltare nel momento opportuno sul carro dei vincitori.
Le truppe tedesche perciò che dal 26 aprile si inoltrarono sui Lessini per aprirsi la strada per la Germania o per installarsi nell’Alpenforstellung poterono farlo o catturando ostaggi civili o combattendo con perdite pesanti, dato che le formazioni partigiane conoscevano ogni palmo di terreno e sapevano dove era conveniente attaccare. Non vi è dubbio che le truppe tedesche subirono più perdite di uomini da parte dei partigiani durante i giorni della liberazione che durante i precedenti venti mesi di lotta. Però ci furono anche presidi tedeschi che resistettero e se ne andarono quando lo ritennero opportuno. E’ il caso di Schio, dove il locale presidio, appoggiato da una divisione tedesca proveniente dal Po, abbandonò il paese la notte tra il 29 e il 30 aprile, dopo aver firmato un accordo sulle modalità della ritirata con il comandante della divisione partigiane Ateo Garemi, Nello Boscagli.
Pure il 29 aprile si arrese la divisione della Decima Mas a Thiene. Il suo comandante, generale Giuseppe Corrado, raggiunse un accordo con il vicecomandante della divisione partigiana Ortigara, Angelo Fracasso, dato che due giorni prima il comandante e il commissario di questa divisione, rispettivamente Giacomo Chilesotti e Giovanni Carli, insigniti poi di Medaglie d’Oro al valore partigiano, erano stati fucilati dai tedeschi a Longa di Schiavon.
E’ impossibile seguire quello che successe nelle nostre zone durante i giorni della liberazione, dato che le modalità della lotta, l’organizzazione dei partigiani, il passaggio dei poteri nei paesi e nelle città cambiarono da luogo a luogo e secondo modalitá diverse. Quello che si può affermare senza paura di esagerare è che questa lotta senza quartiere, con tutti i mezzi e in tutte le forme, sostenuta dalla popolazione civile, contribuì a disorientare, confondere le truppe tedesche in ritirata dal Po, impedendo loro di installarsi nelle fortificazioni, già preparate, dell’Alpenforstellung. Per cui per le truppe alleate la conquista del vicentino e del Veneto fu quasi una passeggiata con perdite minime e saltuari scontri armati. I partigiani vicentini avevano liberato la loro terra.
Giancarlo Zorzanello
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