Mio padre, Gaetano Bressan detto “Nino”, fu il comandante della divisione partigiana “Vicenza” e in tempi recenti appoggiò pienamente l’iniziativa per ottenere la Seconda Medaglia d’oro al Valore per la nostra città, contribuendo a raccogliere la documentazione necessaria per tale riconoscimento. Desidero ricordarlo con questo ritratto che Paolo Vidali scrisse in occasione della sua scomparsa:
RICORDO DI NINO BRESSAN
Chi l’ha conosciuto non avrebbe colto, nei suoi tratti distinti e pacifici, la figura dell’ufficiale che ha addestrato e guidato innumerevoli azioni di guerriglia partigiana contro le truppe nazifasciste. Ma questa è stata la storia, sua e di molti come lui. Uomini strappati da una vita normale per finire nei campi di battaglia in Jugoslavia o in Africa, per poi arrivare a combattere anche a casa propria, contro un nemico che certe volte parlava lo stesso dialetto, ma voleva una società senza giustizia, senza libertà.
Figlio di una famiglia modesta, conobbe da subito il frutto doloroso della guerra, con il padre morto sul fronte della Bainsizza. Entrò nell’esercito italiano, illuso, come molti, che fare grande l’Italia dell’Impero fosse un dovere e un impegno. Ma bastò uscire dai confini del Paese e della propaganda fascista per capire quanta illusione si nascondeva in quei sogni di grandezza.
Divenuto ufficiale, già sul fronte occidentale, nel 1940, contro la Francia, intuì che la guerra sarebbe stata persa per impreparazione e sconsideratezza. Divenne esperto di esplosivi nel Genio Guastatori, per finire, nel 1943, durante lo sbarco degli Alleati in Sicilia, nel cuore di una disfatta, militare e morale. Se ne tornò a piedi, attraversando l’Italia, per scoprire a Vicenza che la guerra combattuta e persa non era finita. Sfuggito fortunosamente alla deportazione da parte dei tedeschi, trovò in Giacomo Prandina non solo l’amico ma l’ispiratore di un ideale di vita e di lotta. Quello di un’Italia nuova e democratica. In quel momento, smessa la divisa di ufficiale, divenne “Nino” , il primo addestratore all’uso di esplosivi tra i partigiani che stavano organizzando la resistenza.
San Pietro in Gu fu una piccola capitale della Resistenza veneta: qui Nino organizzò i primi gruppi ribelli tra il Brenta e il Tesina e gettò le basi di quella che sarebbe divenuta la brigata “Damiano Chiesa 2.a”. Con il materiale esplosivo lanciato dagli Alleati, cominciò ad addestrare i primi sabotatori. Nell’aprile del 1944 il battaglione Guastatori vicentino contava già 300 aderenti e il Comando Militare Provinciale ne assegnò a “Nino” il comando. Muovendo dalla provincia vicentina fino a Padova, Treviso e Verona, organizzava sabotaggi in contemporanea di ponti e ferrovie, colpendo senza dare riferimenti, per scongiurare le rappresaglie nazifasciste.
Nel marzo del 1945, tradito e consegnato ai repubblichini della X MAS, fu imprigionato a Thiene e torturato per giorni a Padova dalla famigerata “banda Carità”. Riuscì a fuggire, fortunosamente, e dopo nemmeno un mese diventò comandante della Divisione “Vicenza”, con 7 brigate e circa 3000 uomini. E venne la Liberazione, ma non la fine del suo impegno. Diventò Comandante di Piazza di Vicenza, e da questo ruolo si adoperò per impedire lo scatenarsi di nuove e diverse violenze, questa volta verso gli ex-fascisti.
Poi, rinunciando alla carriera militare o politica, tornò ad una vita normale, come molti eroi del nostro tempo. Delle sue medaglie, conservate e mai ostentate, la più importante è stata la nostra, quella di una Vicenza decorata per la seconda volta con la medaglia d’oro al valor militare, proprio per la resistenza che Nino e altri giovani come lui hanno saputo opporre al nazifascismo.
Pacifico e indomito: forse un ossimoro, ma non nel suo caso. Quando nel 2000 un prefabbricato per i pellegrini del Giubileo venne posto proprio davanti alla motivazione della medaglia d’oro, nel piazzale della Vittoria, andò dal Sindaco per dire, serenamente, che se non l’avessero tolto, lo avrebbe fatto saltare. Aveva già 83 anni, ma non è mai stato vecchio.
Pubblicato sul Giornale di Vicenza il 7 ottobre 2012.
Lella Bressan
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