Le foibe istriane
La serie di uccisioni che si verificarono in Istria nel settembre del 1943 non ha riscontri nell’Italia di quel periodo. Anche la modalità delle esecuzioni di massa con le vittime scaraventate nelle “foibe”, le profonde voragini carsiche, destò grande impressione. Probabilmente da sempre quelle scure cavità generavano paura tra la gente del luogo. Ma la prima minaccia esplicita di gettare nella foiba risale ai primi anni Venti: gli squadristi fascisti promettevano quella fine a chi non osservasse le imposizioni del regime, come coloro che osavano parlare slavo in pubblico. Alcuni autori riportano testimonianze riguardo infoibamenti operati dai fascisti durante le repressioni dei sommovimenti che si ebbero tra la popolazione slava, in particolare tra i minatori del bacino carbonifero dell’Arsa e delle cave di bauxite, tra il 1940 e il 1943.
Proprio in queste zone si verificarono le vendette, che resero tristemente famosi alcuni luoghi come la “Foiba dei colombi” presso Vines. Probabilmente gli italiani non si erano resi conto di come la repressione avesse creato un profondo risentimento tra la locale popolazione croata. Infatti in questo caso non è possibile chiamare in causa direttamente i partigiani di Tito, che si trovavano molto più a sud.
Sicuramente fra i partigiani locali vi erano molti comunisti, e tra loro vi erano anche italiani, ma le testimonianze indicano un coinvolgimento dei civili e in particolare delle donne nelle esecuzioni, con l’appoggio anche di elementi nazionalisti e la comprensione del regime fascista di Pavelic: non bisogna dimenticare che gli ustascia croati usarono il metodo dell’infoibamento di massa nei confronti dei serbo–ortodossi di Bosnia, il più sanguinoso episodio di pulizia etnica (centinaia di migliaia di morti) avvenuto nei Balcani durante il Novecento. Si riscontra insomma più il “clima di selvaggia rivolta contadina” che un progetto politico, ma l’accaduto lascerà un ricordo di terrore tra gli italiani. La vicenda si svolse in un paio di settimane, tra il 18 e il 30 settembre, durante le quali i tedeschi ripresero il controllo, anche se non totale, del territorio istriano, a prezzo di sanguinose stragi. Nell’ottobre successivo si svolsero le ricerche da parte dei Vigili del Fuoco di Pola; vennero estratti dalle voragini 203 cadaveri, dei quali 121 furono riconosciuti. Si trattava di miliziani ed esponenti fascisti, impiegati comunali, insegnanti, capisquadra delle miniere, proprietari terrieri, cioè le categorie verso le quali era maggiore il risentimento, e in gran parte erano di etnia italiana. Accanto a questi vi furono persone uccise in altri modi e molti scomparsi; in totale le autorità nazifasciste calcolarono circa 400-500 vittime; per contro il 7 ottobre il bollettino tedesco dichiara l’uccisione di 3.700 “banditi” nella regione di Trieste.
I dati non sono particolarmente significativi rispetto ad altre “rese dei conti” o repressioni avvenute in Italia, ma lo sono relativamente all’epoca, perché nel periodo agosto–settembre 1943 non si verificarono nel resto d’Italia oltre a questo episodi particolarmente cruenti. Quindi si tratta di un’anticipazione di quanto succederà dappertutto negli anni successivi. Nella zona del Confine orientale invece la situazione di confronto sanguinoso etnico-politico resterà costante fino alla fine della guerra ed oltre.