LA LIBERAZIONE
«Wally» tornò da Recoaro a Trissino nei giorni della Liberazione, entrando a far parte del presidio operante in quel paese. Lo comandava il fratello «Claudio» ancora vistosamente zoppicante e convalescente per le ferite subite nello scontro con i fascisti. Con loro c’erano Giuseppe Piazza «Colombo» (66), Vittorio De Cao «Flagello»(67) ed altri.
(66) Piazza Giuseppe “Colombo” di Antonio e di Mastrotto Antonia della classe 1921 originario di Nogarole Vicentino
(67) Cfr. nota 42
Arrivarono poi gli americani e vollero fotografarsi insieme a quel valoroso manipolo di partigiani. Quelle fotografie se le sono portate via loro in America. Tutti facevano festa, ma «Wally» non partecipava perché non riusciva a superare il tremendo dolore della morte del padre. Il tormento provocato da quella terribile sciagura le impedì di assaporare appieno la soddisfazione di aver contribuito alla Liberazione del proprio Paese dalla dittatura fascista e dall’occupazione tedesca. Anche se con la tristezza nel cuore, «Wally» non mancò quando a Valdagno le fu chiesta la partecipazione alle sfilate. Ne fu anzi orgogliosa e in quella occasione ebbe anche modo di incontrare il responsabile della morte di suo padre, Emilio Tomasi, comandante della Brigata nera.
Quando gli fu vicina non si trattenne e con voce ferma gli chiese quale torto gli avesse fatto suo padre, aggiungendo: «Credeva lei di vincere la guerra ammazzando degli innocenti?»
Solo questo gli disse e non ne attese risposta, perché non c’era risposta plausibile. Tanto più che suo padre, che alla domenica era solito recarsi all’osteria a giocare a carte per lo più a Nogarole, ma spesso anche a San Benedetto, prima della guerra si trovò più volte a fare qualche partita persino con lui, il suo assassino.
Ma venne la resa dei conti e Tomasi fu fucilato nel campo sportivo di Valdagno, davanti a tutta la popolazione raccolta sugli spalti. Anche «Wally» era tra i partigiani che lo accompagnarono al luogo dell’esecuzione. Era trasportato sopra un furgone, rinchiuso in una specie di gabbia. I Partigiani volevano che fosse suo fratello «Claudio» a sparargli, per vendicare suo padre. Ma egli si rifiutò: «Se è per difendermi io sparo, ma non per altri motivi». Così Tomasi fu messo al muro e giustiziato pubblicamente da un plotone di esecuzione. «Wally» con i suoi compagni restò di presidio a Trissino per circa due mesi, dopo di che si insediarono le autorità regolari e la sua attività partigiana ebbe termine.
La Liberazione per «Wally», come detto, non fu una festa, anzi. Per certi aspetti quell’avvenimento, tanto desiderato, diveniva causa del riaccendersi di grandi dolori e di interrogativi che rimanevano senza risposta. Ritornavano alla mente tutte le traversie sofferte da lei, dalla sua famiglia, dai suoi amici e compagni, soprattutto da quelli che non ci sono più. Per i Caduti non c’è Liberazione. Perché è toccato a loro? Essere sopravissuta per «Wally» non fu perciò motivo di compiacimento ma, al contrario, dell’insorgere di un intimo senso di colpa che ancor oggi la tormenta. Per capire ciò si riporta un passo di un suo scritto lasciato ad alcuni tra i giovani studenti, che ancor oggi incontra di frequente per spiegare, raccontando la sua esperienza, cos’è stata la Resistenza, quali i valori maturati e conquistati:
“Io, ribelle per amore, vi racconto ora i miei dolori di quel tempo. Alla fine della guerra, dopo sette mesi invernali trascorsi presso le famiglie di Rovegliana, nascosta in umide buche coperte di neve scavate sotto terra, tornai a casa e trovai la mia famiglia distrutta. Mio padre era morto, ucciso. Vissi la disperazione di mia madre e dei miei fratelli che non avevano neanche da mangiare, perché la brigata nera di Valdagno aveva portato via tutto quel poco che avevamo. Per questo abbiamo dovuto mandare in collegio i miei fratellini più piccoli.
Mio fratello Pietro ed io siamo rimasti per due mesi di presidio a Trissino, dopo di che andavamo ad aiutare mia nonna nel lavoro dei campi, per poter chiederle poi qualcosa da mangiare. La mia famiglia ha dato molto alla Resistenza. Ho messo tutto il mio entusiasmo di giovane nei compiti che mi assegnavano, ma ricordo che mio padre vide bruciare molte case di Selva – la nostra fu risparmiata perchè così facendo pensavano di prendermi se fossi tornata – e vide il terrore negli occhi delle famiglie colpite. Fu mosso a compassione per il Sig. Lupinelli che aveva dodici figli e li ospitò nel granaio che era grande, mentre condivideva il focolare della cucina per i pasti. Ricordo i dolori della mia cara nonna che era vedova dalla prima guerra mondiale e vide il figlio, invalido, reduce dalla guerra in Grecia, rischiare di essere fucilato dai fascisti; fu salvato solo per l’intervento del nostro parroco Don Luigi che rischiò per questo di essere fucilato pure lui. Ricordo il terrore dei figli e della moglie del mugnaio Marcello Costa che videro il loro padre messo al muro dalla brigate nere per essere fucilato; fu un tedesco in quel caso a fermare la sua uccisione.
Un caro ricordo va a Giuseppe Bevilacqua «Brill»(68), un bel ragazzo, dolcissimo. Era uno studente promettente che frequentava un istituto a Pordenone e prima di finire la scuola mi scriveva tutti i giorni dicendo che non vedeva l’ora di tornare a casa per entrare nella Resistenza e diventare un valoroso garibaldino. Penso allo strazio di sua madre alla notizia della sua uccisione a Brendola durante la sua prima azione.
Un ricordo particolare va a Giuseppe Chiarello «Pascià» amazzato ai Battistini nel giorno del suo ventesimo compleanno durante il rastrellamento del 9 settembre 1944, e a Gino Cenzato «Vento», coetaneo di mio fratello Pietro, trucidato a Quargnenta quello stesso giorno(69).
Tutto ciò mi procurò allora tanto dolore con un certo senso di colpa, per cui non mi trovai disposta a festeggiare la Liberazione che aveva portato con sé tanti lutti.”
(68) Bevilacqua Giuseppe «Brill», di Carlo e Meneguzzo Amelia, n. a Selva di Trissino il 9.10.1925. Cugino di “Catone”. Deceduto in un’imboscata nazifascista a S. Valentino di Brendola il 12.7.1944. Con il suo nome di battaglia fu chiamato un battaglione della brigata “Stella”.
(69) Chiarello Giuseppe Santo «Pascià», di Giacomo e Giuseppina Colombara, nato a Selva di Trissino il 9.9.1924, venne ucciso in contrada Giaretta. Cenzato Gino «Vento» di Pietro, nato a Selva di Trissino il 12.7.1922, venne ucciso a Quargnenta.
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