Teresa Peghin: L’esilio

Peghin Ettore Oddo

L’ESILIO

Nuovi compiti

Alfredo Rigodanzo «Catone», in relazione alle esigenze della Resistenza che si è dovuta riorganizzare dopo i terribili rastrellamenti del settembre 1944 e per allontanare dalla zona «Wally», ormai troppo nota ai fascisti e ai tedeschi, decise di mandarla ad operare sempre come staffetta nella zona del Veronese(45).

(45) Il piano che prevedeva di mandare “Wally” nel Veronese, piano che non venne mai attuato, fu preparato almeno un paio di volte: alla fine di novembre 1944 e ai primi di gennaio 1945. Quest’ultima circostanza risulta dal fatto che il partigiano “Francesco” (Dusi Giovanni, anche “Gems”) vicecommissario della brigata “Stella”, andato nel Veronese per riorganizzare la Resistenza in quel territorio, scriveva in data 23.12.1944 a “Iura” e a “Catone”: «Mi sarebbe molto utile avere con me una persona che potesse girare da staffetta. Forse la Wally potrebbe essere adatta. Che ne pensate?» (G.ZORZANELLO, Che almeno qualcuno sappia questo, cit., pag. 287, d. 417). “Catone” organizzò il trasferimento di “Wally” e lo dispose per il 12.1.1945, come da lettere in data 5 e 9 gennaio 1945 (G.ZORZANELLO – M. DAL LAGO, Sempre con la morte in gola – Archivio storico della brigata Stella – Divisione Garemi – 1 gennaio–22 settembre 1945, d. 462 e d. 468)

Per questo trasferimento bisognava munirsi di nuovi documenti: era già stata preparata una nuova carta d’identità dove Teresina diventava Rosina. Ma bisognava applicarvi una nuova fotografia, per la quale «Wally» fu mandata da un fotografo a Schio nell’altra vallata, dove era meno conosciuta. Era il 30 novembre e l’accompagnava Irma Massignani, un’amica.

Fototessera WallyFatta la fotografia (quella riportata qui a fianco), dovettero però aspettare i tempi dello sviluppo e della stampa. Si fece tardi per cui passarono la notte presso una famiglia conosciuta dalla stessa Irma. Il mattino seguente ripresero il cammino per tornare nella Valle dell’Agno. Lungo il percorso incontrarono due partigiani che «Wally» conosceva bene. Erano «Furia»(46) e «Spivak»(47), rispettivamente comandante e commissario del battaglione “Cocco” della brigata “Stella”. Essi salutarono le due donne con cordialità, ma le avvisarono che era in corso un rastrellamento. Si lasciarono in fretta. I due scesero verso valle, mentre le donne salirono verso Monte di Malo.

(46) Vedi nota 11.
(47) Frigo Armando “Spivak”- Classe 1920, nato a Schio, figlio di Giuseppe e di Pietrobelli Edvige, commissario del battaglione “Cocco” della brigata “Stella”, cadde in combattimento contro i nazifascisti l’1.12.1944.

Era vero. Quel giorno ci fu un grande rastrellamento in quella zona e i due partigiani furono purtroppo intercettati lungo la strada verso Malo. «Wally» apprenderà poi dai compagni che «Furia», vistosi circondato, per non darsi nelle mani dei fascisti riservò l’ultimo colpo per sé, e che «Spivak» è andato incontro alla fucilazione gridando «Viva l’Italia!». Nello stesso rastrellamento furono uccisi anche altri partigiani, quattro dei quali per rappresaglia in località Ronare di Priabona, frazione di Monte di Malo; tra questi Domenico Peruffo «Tabul»(48).

(48) «Il primo dicembre, nel corso di un poderoso rastrellamento da Montepian a monte Civillina con l’impiego di 6000 uomini, cadono in combattimento Francesco Gasparotto “Furia” e Armando Frigo”Spivak”, rispettivamente comandante e commissario del battaglione “Cocco”. Con loro rimangono uccisi quattro partigiani. Altri quattro, prelevati dal carcere S.Michele in Vicenza, lo stesso giorno sono condotti a Priabona di Monte di Malo. In località Ronare, dove il 26 novembre in un’imboscata era rimasto ucciso il capitano Polga, capo della polizia fascista della provincia di Vicenza, i quattro vengono fucilati dopo maltrattamenti e sevizie. Prestò loro i conforti religiosi don Alessandro Baccega, parroco di Priabona, il quale, vedendo lo stato pietoso dello loro condizione e non sopportando l’inumana procedura della fucilazione (uno alla volta), ad un certo momento si mise a chiedere, gridando, la fine di quel supplizio, favorendo così la salvezza di un quinto giovane che fu risparmiato. I caduti forono Domenico Peruffo “Tabul” di San Benedetto di Trissino, Primo Benetti “Ceo” della contrada Parenti di Recoaro, Giovanni Cattelan “Spavento” di Costabissara e lo studente universitario padovano Rino De Momi “Ciccio”. Non si conosce l’identità del giovane che si salvò.» (Brano tratto da M.FAGGION E G.GHIRARDINI, Figure della Resistenza Vicentina, cit., pag.107-108).

Le due donne giunte appena sopra il cimitero di Monte di Malo, sentirono approssimarsi le truppe nazifasciste. Erano già stanche del cammino effettuato e non c’erano ormai più forze, né tempo. né possibilità di sottrarsi al rastrellamento. Non viste, cercarono allora rifugio in una stalla nella vicina contrada. Vi entrarono senza chiedere permesso a nessuno, ed Irma si sdraiò subito su una panca coprendosi alla meglio fingendo di essere malata. «Wally» scorse su uno sgabello un lavoro a maglia iniziato da chissà chi e lasciato incompiuto: si sedette, prese in mano la calzetta e cominciò a sferruzzare.

Poco dopo entrò un tedesco che trovò le due donne in quella situazione. «Wally», con notevole sangue freddo, indicando la sua compagna disse subito: «Mia amica ammalata ». Il tedesco, per tutta risposta disse: «Partigiano caput, bomba e pistola». Il tedesco non disse più nulla, né chiese alle donne i documenti e se ne andò. Esse colsero subito tutta la drammaticità di quella frase e ne furono molto turbate. Forse si riferiva ad uno dei due partigiani incontrati poco prima. Grande era la voglia di scendere nel vicino cimitero per accertarsene, ma decisero di non muoversi per prudenza e rimasero nella stalla fino all’imbrunire. Si diressero poi verso il valico che porta nell’altra vallata.

Arrivate nella contrada situata nelle vicinanze del passo(49), chiesero ospitalità ad una signora.

(49) Probabilmente trattasi della contrada Cima in territorio di Monte di Malo

«Qua in casa non vi tengo! – precisò subito timorosa – ma se volete potete dormire nel fienile». Le due donne accettarono: chiesero ed ottennero una coperta e si sistemarono alla meglio per la notte. Faceva freddo ma lì erano abbastanza riparate. Arrivò poi un ragazzo giovane, tutto spaventato. Anche lui silenziosamente si sistemò nel fienile ove dormì, senza coperte. Il giorno dopo di buonora il giovane sparì e le due donne ripresero il cammino. Superato il valico, si fermarono nella prima contrada dove l’accompagnatrice di «Wally», che era originaria da quelle parti, conosceva una famiglia. Si presentarono e chiesero qualcosa da mangiare, dato che per tutto il giorno precedente non avevano toccato cibo. Quella famiglia aveva poca roba, ma non fu loro rifiutato un po’ di pane e latte. Quanto era buono!

Scesero poi ai Massignani Alti, dove Irma abitava. Essa si fermò a casa, mentre«Wally» proseguì il cammino da sola. Arrivata in località Casa Rossa fu avvertita che proprio in quella notte, i tedeschi erano venuti per prenderla: erano andati a colpo sicuro, guidati dalla «Katia». Avevano circondato e perquisito la casa di Sandro Fioraso, proprio quella in cui era ospitata e dicevano di cercare “un piccolo partigiano”. «Wally» quindi non proseguì oltre e si fermò alla Casa Rossa finché non giunse una staffetta, che le recapitò un biglietto(50) di «Catone», contenente l’ordine di spostarsi a nella zona di Recoaro.

(50) Alfredo Rigodanzo “Catone” le scrisse, chiamandola con l’appellativo di “madrina della brigata”. Ecco il testo del biglietto: «Cara Wally, dietro l’arresto di Lea, Nadia, Venere, i fratelli Bandiera [Peruffo Domenico “Tabul” e De Cao Piero “Ober” n.d.a.], Mario, il calzolaio Gino, Gastone, Katia ed altri è necessario che tu lasci la casa di Binda. Traditori sono i sopra sottolineati (ndr evidenziati). Sapendo Katia dove ti trovi realmente, prima che sia troppo tardi, portati in Recoaro. Recati a Casa di Ubalda (contrà Fracassi) e da lì sarai portata in qualche punto. Ho già informato Iura e Gems della decisione presa e del tuo spostamento. Saluti cari e patriottici.” ((G.ZORZANELLO, Che almeno qualcuno sappia questo,cit.,d.367, pag. 239).

Il suo trasferimento nel veronese non poté essere attuato e quella fotografia fatta a Schio non fu più utilizzata per quello scopo. Quella sera stessa «Wally» prese il treno e, accompagnata da una persona fidata, salì in una contrada di Rovegliana a monte di Recoaro(51).

(51) Teresa Peghin non ricorda il nome della contrada, tuttavia rammenta che in essa abitava un partigiano, poi identificato in Filippi Farman Giovanni “Julia”. Questa contrada si chiama Sberar e comprende poche case che si incontrano salendo da Fonte Franco verso Rovegliana, appena sotto la contrada Angrimani. In questa contrada fu ospitata anche la missione inglese “Dardo”.

A Recoaro

In quella contrada c’era un bunker, un “buso”, che serviva da nascondiglio e, all’occorrenza, da alloggio. Era stato ricavato all’interno di un deposito di fascine di legna, ma vi si accedeva da un ovile adiacente, passando attraverso un’apertura posta sotto la greppia ove mangiavano capre, pecore e agnelli.

«Wally» fu sistemata, si fa per dire, in quel rifugio, ma non era sola. C’era un altro partigiano, «Ortiga»(52), che usufruiva di quello stesso nascondiglio. I due quindi si conobbero e da quel momento operarono insieme per tutto l’inverno.

(52) Povolo Antonio «Ortiga» – Partigiano recoarese del battaglione “Romeo”. Fu una delle vittime della cosiddetta “strage dei Grilli” avvenuta per opera della Brigata Nera di Emilio Tomasi a Quargnenta il 20 febbraio 1945.

In quel “buso” furono ospitati anche tre paracadutisti, probabilmente inglesi, ma dalla loro parlata potevano anche essere americani. Hanno voluto una mappa della zona, perché dicevano che sarebbero venuti loro a bombardare Recoaro. Hanno dormito lassù una notte e poi sono stati accompagnati, sembra, sull’Altopiano di Asiago. Dopo una ventina di giorni «Wally» e «Ortiga». cambiarono rifugio passando alla contrada Balestri, che si trova sotto Rovegliana, lungo la strada che porta ai Fracassi. Qui c’ erano anche «Iura», il dottore «Gian» Dalla Bona(53) e altri.

(53) Dalla Bona Gianattilio «Gian» – Originario dal Veronese, laureando in medicina era partigiano della divisione “Pasubio” di Giuseppe Marozin “Vero” del quale però non approvava i metodi. Passò quindi alla brigata “Stella”, con compiti di assistenza sanitaria. Fu catturato dai fascisti in un prato nei pressi della contrada Facchini di Recoaro, mentre stava studiando forse per prepararsi ad un esame di medicina. Trasferito alla casa del Fascio di Recoaro, venne sottoposto ad interrogatori serrati. Poiché si rifiutò di collaborare, fu ripetutamente e crudelmente torturato. Stremato dalle sevizie subite, fu trascinato ai Facchini e qui, dopo altri inumani maltrattamenti, ucciso. Era il 23 febbraio 1945 e “Gian” aveva 27 anni. Per il suo eroimo gli venne assegnata la Medaglio d’Oro al Valore.

Il rifugio che utilizzavano era stato ricavato sotto terra e vi si accedeva scendendo una scaletta nascosta dentro un gabinetto fatto di canne. L’umidità era tremenda e quando pioveva o c’era la neve al mattino si potevano strizzare le coperte, tanto erano bagnate. Erano come topi, come talpe.

Un giorno «Wally» confidò al dottore Dalla Bona di avere frequenti giramenti di testa. Egli disse che ciò succedeva perché si stava troppo a lungo sotto terra. Qualche volta però, quando la situazione era calma, «Wally» e gli altri “ribelli” uscivano dal rifugio e, accompagnati da «Ortiga», che era un ragazzo bravo e generoso, si recavano a casa del fratello di questi, Povolo Valente. Tra quelle mura ospitali avevano modo di rifocillarsi un po’ e di scaldarsi in quel freddo inverno. A volte avevano modo anche di prepararsi del cibo caldo e cuocere la polenta. Ma la prudenza doveva essere sempre tanta. Un giorno nella contrada vi fu un’improvvisa incursione di fascisti. «Wally» e «Ortiga» non riuscirono a ritornare in tempo nel loro bunker, per cui furono nascosti in fretta e furia in un altro buco, ricavato all’intero dei muri di sostegno tra una casa e l’altra. Era un buco doppio, con un vano sopra e un altro sotto. Probabilmente quel luogo era inutilizzato da molto tempo, perché era pieno di pidocchi. I due ne presero in gran quantità e ne ebbero per un bel po’ prima di riuscire a spidocchiarsi completamente.

I partigiani cambiavano spesso la loro localizzazione, proprio per non essere individuati. Così anche il comandante «Iura» decise un giorno di spostarsi in un altro luogo. Il trasferimento avvenne in gennaio, di notte, perché era necessario attraversare l’abitato di Recoaro, operazione molto pericolosa. Temeva di non passare inosservato e per difendersi da eventuali attacchi ritenne necessario usufruire di una scorta armata. Egli volle essere accompagnato anche da «Wally». Così le diede un parabello che mise a tracolla.

Tenendola per mano, loro due davanti e gli altri dietro, attraversarono il paese senza inconvenienti. «Iura» allora proseguì, mentre «Wally» con alcuni compagni riattraversarono il paese e lei ritornò ai Balestri. Ma un giorno «Ortiga» fu chiamato a Selva per compiere un’azione. Qualche giorno dopo la sua partenza giunse nella contrada la notizia che la mattina del 20 febbraio 1945 proprio «Ortiga» è stato catturato dai fascisti in località Grilli a Quargnenta insieme ad altri quattro compagni. Furono percossi, torturati, seviziati per ore, con una ferocia disumana, prima di essere uccisi(54).

(54) All’alba del 20 febbraio 1945, i fascisti della brigata nera “Turcato” della Valle dell’Agno, informati da una spia locale su l’ubicazione di un “bunker” in località Grilli, sopra Quargnenta, tendono un’imboscata ad una pattuglia partigiana di ritorno da una missione. Alcuni riescono a fuggire (“Binda”, Ursus”, “Mato” e altri), mentre nello scontro cade subito ucciso Faccin Gaudenzio Costantino “Guerrino”. Vengono invece catturati Lucato Bovo “Riccardo” e Antonio Povolo “Ortiga”, ai quali si aggiungono Faccin Danilo “Ferro” (fratello di “Guerrino”) e Silvano Roncari “Drago” scovati nel bunker. Costoro, dopo lunghe torture e inumane sevizie sono trascinati in località Ruara, ove dopo altre sevizie furono uccisi e abbandonati nella neve rossa di sangue.

Questa notizia gettò nello sconforto «Wally», «Gian» e gli altri, perché in tutto quel tempo passato insieme erano diventati amici sinceri. Grande fu anche il dolore della famiglia Povolo, colpita da una disgrazia così grave. Allora «Wally» insieme ad un’altra conoscente, Virginia Zuccante, andarono a trovare la madre del povero «Ortiga» per portarle parole di conforto e di sostegno. Mentre avveniva quella visita, i fascisti catturarono anche «Gian». Il suo supplizio fu terribile e morì da eroe, ma aggiunse in tutti dolore a dolore. «Wally» passò in quella contrada il resto del tempo fino alla liberazione, restando continuamente sul chi va là, sempre tra i disagi e tenendosi nascosta nei buchi, dai quali usciva raramente evitando di andare allo scoperto, perché il pericolo di essere individuati era sempre alto.

Il bucato

Era metà di aprile e il tepore della primavera ormai alle porte si faceva sentire. La voglia di stare all’aperto era tanta, specie in quelle giornate lunghe e soleggiate. Così quando una donna della contrada, chiese a «Wally» se voleva andare a tenerle compagnia mentre faceva il bucato, accettò volentieri. Ormai «Wally» era diventata una della contrada e le altre donne la trattavano con simpatia ed amicizia. Ida Storti, così si chiamava la donna, scese in una piccola valle per lavare la biancheria nell’acqua del ruscello e «Wally» si incamminò con lei portandosi appresso i ferri e la lana per il lavoro a maglia: voleva completare un indumento che le era stato commissionato da un’altra donna della stessa contrada. Mentre l’una lavava e l’altra sferruzzava chiacchierando del più e del meno, una pattuglia di fascisti stava scendendo lungo il sentiero che portava sulla strada principale in fondo alla valle, al Mulino di Sotto. Al vederli sussultarono, ma se ne erano accorte troppo tardi per potersi nascondere. Così non restava loro che far finta di niente: l’una continuò a lavare e l’altra a sferruzzare, chiacchierando del più e del meno. I fascisti si avvicinarono e chiesero loro i documenti. «Wally» con il solito sangue freddo si mise come a ridere e disse: «Non vorrete che ci portiamo sempre appresso i documenti anche quando andiamo a lavare i panni e a fare una chiacchierata? Qui non siamo in treno e nemmeno in un luogo pubblico». Allora chiesero le loro generalità: «Ida Storti» disse la prima «Io sono sua sorella Maria» Disse «Wally» .

La sorella di Ida si chiamava proprio Maria, ma la risposta era stata comunque un azzardo, perché quei fascisti erano di Recoaro e gli abitanti del luogo più o meno si conoscevano tutti. Infatti essi continuavano a guardarla e a parlarsi, non convinti. Così le chiesero: «Ma lei non viene mai a Recoaro?» «Wally» rispose che vi andava qualche volta ma non spesso perché non lavorava e faceva la casalinga. «Ma non va neanche a ballare?» ripresero. «Eh sì – rispose lei – magari… ! Mio padre è severo e non mi lascia proprio, ma se posso verrò, perché mi piace ballare.» Così, forse soddisfatti della risposta, se ne andarono.

Il dolore

Appena se ne furono andati, la sua amica Ida Storti, riprese l’argomento della severità dei padri e passando di frase in frase, condusse «Wally» a parlare della propria famiglia e in particolare del padre Ettore. Allora Ida giudicò giunto il momento di adempiere al gravoso compito che si era assunta e per il quale aveva invitato «Wally» a scendere al ruscello con lei, il compito di rivelare alla sua amica la triste notizia: «Tuo padre purtroppo non c’è più, è morto, ucciso dai fascisti …» «Wally» incredula scoppiò in pianto e tra i singhiozzi volle sapere quando, come, perché … Ida, quando ebbe finito di raccontare brevemente l’orrenda storia, capì che «Wally» aveva bisogno restare sola, per raccogliere le idee e dar sfogo liberamente al tremendo dolore. Si allontanò discreta , mentre un aereo alleato, il solito “Pippo”, sorvolò il prato a bassa quota e picchiò verso il fondo valle, mitragliando: forse il bersaglio erano i fascisti poco prima incontrati dalle donne. «Wally» sedette sull’erba e si lasciò andare ad un pianto dirotto, chiudendosi affranta nel suo immenso dolore. E le venne subito in mente l’ultima volta che vide il papà.

L’ultimo incontro con il padre

Fu proprio lui che aveva voluto vederla, anche se sapeva che era nascosta nella zona di Rovegliana per sfuggire ai fascisti. La gente però, non vedendola più in giro, cominciò a mormorare e, non si sa come, cominciò a girare la voce che Teresina se ne fosse andata via perché era rimasta incinta. Spinto da quelle voci, venne a trovarla ai Balestri persino suo fratello Pietro che riferì a casa quanto fosse falsa la notizia. Ma dopo qualche tempo, poiché le voci maligne si facevano più insistenti, il padre Ettore mandò a chiamare la figlia per incontrarla personalmente o forse solo per rivederla ancora una volta, senza sapere che quella sarebbe stata l’ultima.

Fu proprio la stessa Ida Storti ad accompagnarla a casa, a Selva di Trissino, quella volta. «Wally», seduta piangente sull’erba presso il ruscello, ricordò che era stato qualche mese prima, in gennaio o in febbraio: c’era molta neve. Con l’amica scesero dalla contrada alla stazione e presero il treno per Cornedo. Da qui salirono a piedi per sentieri fino a Selva, ma per la troppa neve, attraversata la contrada Stella, non poterono salire ai Bei e furono costrette ad allungare il percorso, deviando sulla strada principale. Si ricordò che era già sera quando arrivarono. Le tornarono alla mente l’emozione del suo animo, la dolcezza dell’incontro con la madre, la contentezza dei fratelli, delle sorelle e dei famigliari, ma soprattutto la gioia e l’amore del padre. Tutto durò solo una notte, perché alla mattina presto le due donne ripartirono, ma l’intensità di quei momenti non poteva essere dimenticata. A questo ricordo ne seguirono altri, tantissimi. Le scorrevano davanti tutti i momenti, belli e non, passati con papà Ettore, i suoi insegnamenti, i suoi timori, le sue amorevoli cure, le sofferenze, i sacrifici… E le lacrime non cessavano più.

Travolta dal dolore, in quella solitudine, seduta su quel prato, «Wally» aveva perduto la sensazione dello spazio e del tempo, finché alcune persone della contrada non vennero a cercarla per riaccompagnarla al suo rifugio.

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